“A sorpresa l’inno di Mameli, poi il voto”, di Michele Ainis*
Ventidue dicembre 1947. È pomeriggio. Dinanzi a Montecitorio, sotto la scalinata, va addensandosi una piccola folla trepidante. Gruppi di liceali, e uomini con la barba mal rasata, e donne strette in un paltò di panno scuro lungo fino ai piedi, come s’usava allora. Infine il campanone di Montecitorio suona a distesa nella piazza, mentre la facciata del vecchio palazzo s’accende di centinaia di luci come una luminaria. Luci e bagliori anche dentro l’aula, dove i fotografi fanno scattare le loro macchine al lampo di magnesio. Con 453 voti favorevoli e 62 contrari, è appena stata battezzata la Costituzione della nuova Repubblica italiana. Ecco, avrei voluto esserci, in quell’inverno romano. Anche se le cronache lo descrivono rigido, piovoso, spazzolato dalla tramontana. Anche se a quel tempo una tazzina di caffè era un lusso per pochi, e d’altronde tra il 1938 e il 1945 gli italiani avevano perso metà del proprio reddito. Anche se una casa su quattro era priva di cucina, una su due mancava dell’acqua corrente, tre su quattro non avevano neppure il bagno. Ma …