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“L’Aquila, per la ricostruzione in campo aziende a rischio mafia”, di Attilio Bolzoni e Giuseppe Caporale

C’è chi ce l’ha nonostante certe pericolose amicizie. C’è chi non ce l’ha e vorrebbe tanto averlo. C’è chi l’ha perso. C’è chi l’ha conquistato in extremis. C’è chi ancora lo aspetta con ansia. Tutti dicono che oramai è solo un pezzo di carta straccia ma tutti ne hanno maledettamente bisogno. Nell’Abruzzo della ricostruzione va in scena il balletto dei certificati antimafia.

È l’altra faccia della rinascita dell’Aquila, quella più nascosta. È la corsa per conquistare un titolo ufficiale di antimafiosità, l’attestato di «buona condotta» che fa muovere ruspe e movimentare terra, scaricare calcestruzzo, montare infissi, piantare pali, costruire case e casette. Senza di quello – il certificato – non si fanno affari e non si fanno soldi fra le macerie del terremoto.

Le chiamano «verifiche»: sono gli accertamenti antimafia. «Fatti o da fare sono più di 300», confida un investigatore. Ditte siciliane e marsicane, ditte calabresi e pugliesi e napoletane. E poi ditte con sede sociale al Nord intestate a figli o a nipoti di personaggi con radici nel mondo criminale, mafiosi o camorristi di seconda e terza generazione. Si sono tutte «accreditate» dopo la grande scossa del 6 aprile. L’inchiesta sta svelando un catalogo di imprese al di sotto o poco al di sopra del sospetto, un campionario di società piccole e grandi coinvolte o sfiorate in investigazioni antimafia, tutte in fila per l’appalto e il sub appalto, tutte in gara per trovare un posto al sole in quell’Eldorado edilizio che è l’Abruzzo del dopo terremoto.

L’ultimo caso è di appena qualche giorno fa, segnalato da un’interrogazione del senatore del Pd Giuseppe Lumia che chiede al ministro degli Interni se «risulta che un’impresa di Gela, priva dei requisiti antimafia rilasciati dalla Prefettura di Caltanissetta, stia invece alacremente lavorando in alcuni subappalti in Abruzzo». L’impresa è la Igc, il titolare Emanuele Mondello. Fino a qualche mese fa la ditta non aveva il bollo antimafioso, da un paio di settimane fa però l’ha improvvisamente ottenuto. E si è subito presentata per un lavoro nella new town di Bazzano, la più grande delle 19 «città» di quella che sarà la nuova Aquila. Il certificato negato in primavera è stato concesso come per incanto in estate: l’impresa è sempre quella, l’amministratore pure e anche i suoi soci. Cosa è avvenuto nel frattempo? Mistero.

L’Igc ha 300 dipendenti, specializzata in carpenteria pesante ha preso commesse in Sicilia e in Albania, in Lombadia e Francia. Una volta si chiamava «Grandi Lavori srl», poi si è sciolta e cambiato nome dopo guai fiscali ha ricominciato a lavorare con gli stessi soci. Il suo patron, Emanuele Mondello, è scivolato in un’inchiesta senza mai subire però conseguenze penali, chiamato in causa da due pentiti (poi usciti dal programma di protezione) anche per certi dipendenti vicini a Cosa Nostra, ora è al centro di un’altra investigazione della Finanza. L’appalto per il quale concorre all’Aquila è sempre nella new town di Bazzano, è in cordata con una ditta di Poggio Picenze, una società che negli ultimi anni si è straordinariamente allargata.

Se il siciliano di Gela all’ultimo minuto potrà fiondarsi nel piatto dei ricchi sub appalti abruzzesi, intorno all’Aquila non metteranno piede per il momento quelli della «Fontana Costruzioni». La prefettura di Caserta ha negato loro il famigerato visto antimafia – rapporti di polizia indicavano alcuni soci in prossimità con i Casalesi – e così per la ditta campana non ci sarà un «dopo terremoto».

Chissà se il certificato lo otterrà il noto imprenditore abruzzese al centro di incastri societari assai equivoci, Dante Di Marco. Non ha ancora il bollo antimafia ma – nell’emergenza terremoto i controlli e i pagamenti li faranno dopo – ha già all’attivo due sub appalti. Uno a Bazzano, di quasi 130 mila euro. E l’altro a Sassa. «Di circa 500 mila euro», ammette lo stesso Di Marco, imprenditore del movimento terra ben «ammanicato» con i potenti di Abruzzo.

È un caso assai singolare quello di Dante Di Marco. Oltre alla sua impresa Di Marco – che non è mai entrato direttamente in un’inchiesta antimafia – risulta socio fondatore della «Marsica Plastica srl» insieme a gente molto nota in Sicilia. Uno è Achille Ricci, arrestato tre settimane prima del terremoto per avere occultato i soldi di Vito Ciancimino in un villaggio turistico a Tagliacozzo. Un altro è Giuseppe Italiano, un ingegnere palermitano il cui fratello era citato in un «pizzino» del boss Antonino Giuffrè quando era latitante. Un’altra è Ermelinda Di Stefano, moglie del commercialista Gianni Lapis, il regista degli investimenti del «tesoro» di Ciancimino fuori dalla Sicilia.

La «Marsica» è nata nel settembre del 2006 in uno studio notarile di Avezzano, dallo stesso notaio e lo stesso giorno è nata anche l’«Ecologica Abruzzi srl», dove c’erano i soliti amici di Ciancimino. E con loro pure Bartolomeo Passanante, personaggio legato all’ex sindaco di Castelvetrano Nino Vaccarino, uno prima coinvolto in indagini antimafia, poi ingaggiato dai servizi segreti e in contatto epistolare con Matteo Messina Denaro, il più pericoloso latitante di Cosa Nostra.

L’imprenditore Di Marco aveva cominciato a fare movimento terra proprio per conto degli affari del gas gestiti dai siciliani, uno dei direttori dei lavori era Bartolomeo Passanante. Ora Di Marco, una fedina penale immacolata e in intimità con un paio di ras della politica abruzzese, è in fiduciosa attesa del suo bel certificato antimafia. Intanto già movimenta terra di qua e di là. Sono le regole dei sub appalti dell’emergenza. Tutto si fa in fretta, tutto si muove con velocità. Come quei bagni chimici, sbarcati in Abruzzo poche ore dopo la scossa. Ci sono quattro sezioni di polizia giudiziaria che stanno controllando la «provenienza» dei wc e di due imprenditori campani. Sono arrivati in Abruzzo praticamente «in diretta» con il terremoto.

La Repubblica, 31 agosto 2009

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