BERLINO – Una Terra sola non basta più a sfamare tutti i suoi abitanti. Se nel futuro prossimo tutti mangeranno tanto cibo e tante pietanze pregiate, a cominciare da carne e pesce, come gli europei, allora ci vorranno tre Terre, sarà necessaria una produzione alimentare tripla di quella possibile nel nostro caro, vecchio e sovraffollato “pianeta blu”, per nutrire i suoi abitanti. E siccome i pianeti non si possono clonare, l’unica soluzione è mangiare meno per sfamare tutti, una riedizione amara e allarmata del «lavorare meno, lavorare tutti» sessantottino e post. Lo dicono gli ultimi rapporti della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per agricoltura e alimentazione, cui la Sueddeutsche Zeitung ha dedicato una delle sue frequenti pagine intere sulle grandi emergenze.
Lo spettro della fame, vecchio quanto l’umanità, risorge sempre imprevisto a sfidarla con volti nuovi. Le cifre parlano chiaro, fanno paura. Solo l’11 per cento della superficie della Terra è utilizzabile per la produzione agroalimentare. Cioè, un’area grande poco più di cinque volte l’Italia, per sfamare tutto il mondo. E di qui al 2050 la popolazione mondiale salirà a 9,3 miliardi di persone. Insomma, non potremo più continuare con le abitudini di oggi. È vero, avvertono gli esperti internazionali citati dall’investigative reporter della Sueddeutsche, Sebastian Herrmann, che oggi di 6,7 miliardi di abitanti del pianeta circa 923 milioni soffrono e muoiono di fame. Ma è anche vero che se cambieremo tutti, o meglio tutti noi europei, nordamericani, e anche i nostri “concittadini del mondo” che stanno arrivando alla prosperità diffusa, cioè brasiliani, cinesi, indiani e così via, la produzione alimentare attuale può scongiurare la fame di massa.
Altrimenti però sarà il disastro; su 9,3 miliardi di esseri umani, un terzo sarà colpito dalla fame. Colpa dei ciccioni, o meglio delle abitudini da ciccioni. Mangiare carne piace sempre più nel mondo ricco o nuovo-ricco: in Baviera, la patria delle Bmw e dei supertreni Siemens, dove i sovrappeso per sovralimentazione ipercalorica, tra wurst e bistecconi t-bone locali da due chili a porzione, sono tanti da aver costretto la Croce rossa a ordinare ambulanze speciali da 140mila euro per quando i “pesanti” si sentono male: le pur generose ambulanze Mercedes o Volkswagen T5 e le loro barelle non reggono. In Cina, rispetto al 1995, entro il 2020 la domanda di carne raddoppierà. Lo stesso trend investe brasiliani, indiani, e altri popoli di potenze in ascesa.
L’emergenza ha diversi volti: non solo il deserto che avanza in Africa, ma anche la carenza d’acqua in California, senza che a Los Angeles ci si convinca a mangiare meno filetto o sushi. Il pesce commestibile potrebbe sparire dai mari entro 40 anni, e produrre carne è inefficiente: sottrae terreno ai cereali, e una tonnellata di proteine vegetali richiede 1,3 ettari, mentre una tonnellata di pur “modesta” carne suina rende necessario coltivare foraggi per maiali su 12,4 ettari. Non bastano concimi, pesticidi e cibo transgenico: rassegniamoci a mangiare meno carne, a nutrirci meno da europei. Mangiare meno, sfamare tutti. E solo così, tra l’altro, il mondo nuovo avrà stomaco e portafogli abbastanza pieno da comprare ancora “made in Europe” salvando le nostre esportazioni, la nostra high tech e i nostri posti di lavoro.
La Repubblica, 27 agosto 2009