Vorrei che il dibattito politico di queste settimane fugasse l’equivoco secondo cui l’unico modo per fare un partito forte e radicato è che il segretario sia Bersani. Ho diretto per 7 anni un partito che era al collasso, l’ho ricostruito, con me alla guida ha vinto tutte le elezioni, l’ho traghettato nel Pd. Se oggi sostengo Franceschini è chiaro che è proprio perché ho a cuore un partito vero».
Piero Fassino, festa pre-congressuale, lei come se l’aspetta il dibattito?
«Genova è la più importante di 3500 feste in tutto il Paese, che è il più grande momento di contatto dell’opinione pubblica italiana con la politica. E quest’anno assumono un significato particolare perché interagiscono con il congresso. I grandi temi sia delle feste che del congresso sono due: la crisi del paese e le proposte del Pd per affrontarla, partendo dalla consapevolezza che il governo è inadeguato a mettere in campo le strategie necessarie. Il nostro compito è anche di indicare una strada. Il congresso serve a questo».
Non c’è il rischio che invece il Pd appaia al paese come un partito chiuso in un dibattito interno?
«Noi parliamo di politica e dei problemi reali del Paese, non è colpa dei dirigenti Pd se i media danno una rappresentazione diversa. Capisco che per esigenze mediatiche ai giornali piace molto di più rappresentare il congresso come un continuo rincorrersi tra Orazi e Curiazi, ma non è così. La politica è la capacità di esaminare i problemi e costruire le soluzioni, trovando anche le sintesi necessarie. Il congresso sarà tanto più proficuo se sarà un confronto vero e non una contrapposizione di piattaforme blindate. E anzi, io mi auguro che al termine del congresso su molti punti si possa arrivare a posizioni di sintesi che vadano oltre le singole mozioni».
Il suo appoggio a Franceschini anziché a Bersani, come nasce?
«Si fonda su tre motivi: Franceschini ha iniziato il suo lavoro come segretario sei mesi fa, un tempo troppo breve per considerare esaurita l’esperienza di un leader e non credo faccia bene al Pd cambiare leader troppo spesso. In secondo luogo, in questi mesi ha diretto il partito in modo solido avendo grande attenzione all’unità del partito, gestendo fasi delicate, come la vicenda Englaro e la collocazione internazionale del Pd, facendo scelte chiare. Infine, noi abbiamo voluto creare un Pd dove si potessero incontrare provenienze, culture e storie diverse, che si fondessero intorno a un progetto. Confermare Franceschini è la scelta più coerente con questo progetto».
Mescolanza riuscita?
«Quando nel 2007 feci la scelta di tenere uniti tutti i Ds nella candidatura di Veltroni qualcuno ci vide il riflesso dell’antico mito comunista dell’unità. In realtà quella era la migliore condizione per far nascere bene il Pd, senza lacerazioni. Oggi scelgo Franceschini perché due anni dopo la priorità, invece, è di non interrompere il rimescolamento delle culture».
La Lega attacca i valori fondanti dell’Unità d’Italia. C’è un pericolo reale?
«Siamo al paradosso: mentre stiamo per celebrare un secolo e mezzo di storia unitaria esplodono in modo acuto e in termini centrifughi, la questione settentrionale e la sempre irrisolta questione meridionale. Uno dei fattori di crisi di questi anni è l’indebolimento del senso di appartenenza comune a una stessa nazione. Credo che abbiano influito tante ragioni, sicuramente anche un certo modo di governare della destra che ha frammentato i valori fondanti per la vita di una nazione, ha depresso l’etica pubblica e lo spirito civico».
Cicchitto vi accusa di antiberlusconismo infantile, per la battuta su i festini del premier.
«Le battute sono battute perché mordenti e irriverenti. Se noi avessimo dovuto offenderci per tutte le volte che Berlusconi ha parlato di noi in termini pesanti e non ironici, non avremmo dovuto neanche prendere un caffè con gli esponenti del Pdl. I ministri vengano alla nostra festa, li accoglieremo come abbiamo sempre fatto: con rispetto e ascoltando le loro opinioni».
Ma lo scandalo delle escort è o no un problema politico?
«Quello che è accaduto è sotto gli occhi di tutti. Gli elettori alle europee hanno già dato la loro prima sanzione: il 42% dei voti che il premier si aspettava alla vigilia non ci sono stati e anzi ha preso due punti in meno del 2008».
ROSY BINDI
Una boccata d’aria pura, in alta montagna. Rosy Bindi risponde al telefono da una funivia, in Trentino.
Bindi, festa democratica sotto il segno del congresso. Saranno scintille?
«Noi dobbiamo scongiurare il pericolo di parlarci addosso. Dobbiamo approfittare di questa festa per dimostrare al paese che stiamo costruendo davvero il partito per tornare a governare».
Nessun rischio di focalizzare l’attenzione sulle mozioni?
«Non vado alla festa con questo spirito, anche se è chiaro che sostenere Franceschini o Bersani non è in alternativa a parlare del Paese. Sostengo Bersani perché credo che con lui il partito saprà meglio capire e rispondere ai problemi. Fare un congresso vuole dire dare risposte all’Italia».
Due anni fa lei era candidata alla segreteria. Disse che quella era una finta competizione, tutto deciso dall’alto. Questa?
«Adesso c’è davvero la possibilità di scegliere, quindi è un congresso vero e può essere meno lacerante dell’altra volta. Due anni fa dietro una unità finta si sono prodotte lacerazioni reali».
La Lega va a testa bassa contro l’unità del Paese, il Mezzogiorno, gli immigrati. Il governo sembra sotto scacco. Il Pd che fa?
«La festa si svolge a Genova, città del lavoro: il Pd è il partito del lavoro, che si pone il problema dei salari, dello sviluppo economico. Tocca a noi fare proposte. Genova è anche la città dell’Inno, mai come ora dobbiamo dimostrare di essere il partito nazionale che sa farsi carico della questione meridionale e di quella settentrionale unendo e non dividendo. Le nostre radici sono nella costruzione della Nazione, della Costituzione, non dobbiamo inventarci niente, dobbiamo soltanto essere fedeli a noi stessi».
Che vuol dire rimettere il Paese al centro del dibattito politico?
«Anzitutto mettere la crisi al centro della politica. La polemica che fa il governo se c’è o no, se è passata o deve ancora produrre i suoi effetti, credo che vada accantonata. Le conseguenze devono ancora arrivare. Il problema vero è capire le ragioni della crisi e avere l’ambizione di uscirne con un’Italia migliore e un mondo migliore correggendo gli errori fatti».
Quali, il liberismo per esempio?
«Il liberismo e il protezionismo di Tremonti sono un errore. Il mercato deve essere regolato e aperto. C’è bisogno di una forte mobilità sociale, ce la faremo se scommetteremo sulla capacità di restituire uguaglianza e di partecipare al progetto democratico mondiale, quello di cui parla Obama. Il compito di ripensare il mondo spetta a noi del Pd».
Perché si sente più rappresentata da Bersani che da Franceschini con cui avete radici comuni?
«Per due motivi: perché c’è un’idea di democrazia partecipata, che dice no a una forma di liberismo e di populismo e perché c’è un progetto. C’è un partito forte di opposizione che ha l’ambizione di governare».
Governare con chi?
«La maggioranza degli italiani non ha votato per Berlusconi, o è rimasta a casa o ha votato per altri partiti. Noi dobbiamo mettere in campo una proposta politica dove una maggioranza relativa degli italiani si possa riconoscere. Dobbiamo riportare al governo la sinistra del paese e per un comitato di liberazione da Berlusconi creare alleanze non strategiche ma tattiche. Un’alleanza, tattica e non organica, con l’Udc, per esempio, finalizzata a questo».
Bisogna scusarsi con il premier per la battuta sulla Festa Pd che non è un festino?
«Non scherziamo, i ministri credo che si siano attaccati a questo pretesto per evitare il confronto, come accade dall’inizio della legislatura. Rispondo con una battuta: chi non viene da noi preferisce i festini».
L’Unità 24.08.09