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“Il tema del congresso? L’autocritica di Prodi”, di Michele Ciliberto

Romano Prodi ha pubblicato sul Messaggero del 15 agosto un articolo che vale la pena di discutere. Riguarda tre ordini di temi: la sconfitta dello schieramento di centrosinistra nelle ultime elezioni europee; la crisi e la caduta del suo governo; il prossimo congresso del Partito Democratico.
Il ragionamento di Prodi è questo: i governi – e lo schieramento – di centrosinistra sono stati battuti perché si sono limitati a gestire l’esistente: hanno pensato di poter battere lo schieramento di destra attraverso l’arma del “buon governo”, mentre occorreva misurarsi con nodi strutturali che, ieri come oggi, devono essere al centro dell’agenda politica riformista: rapporto tra stato e mercato; distribuzione delle ricchezze; problemi della pace e della guerra; politiche fiscali; questione dei diritti… Punti tutti cruciali, insiste Prodi, sui quali i governi di centrosinistra hanno fatto politiche che «non si discostavano spesso da quelle precedenti», e sui quali oggi occorre sviluppare un massimo di innovazione, anche a rischio di andare controcorrente, e avendo «il coraggio di scontentare molti» e «la forza di scomporre e ricomporre il proprio elettorato»: azione assai ardua ma possibile oggi, a giudizio di Prodi, perché «la crisi economica sta cambiando percezioni e mentalità», aprendo un nuovo spazio a politiche innovative e coraggiose.
Ciò che colpisce in questo ragionamento – che è anche una sorta di bilancio personale – è la distanza abissale tra la crudezza dell’analisi sul passato e la genericità della proposta. Scomporre e ricomporre, giusto: ma come? In questo discorso ci sono un eccesso di ottimismo e una sottovalutazione della crisi sia del Paese sia del centrosinistra (e che coinvolge tanto il fallimento del governo Prodi quanto il mancato decollo del Partito Democratico).
Il vero problema oggi in Italia è la netta, tragica caduta di fiducia in una politica riformistica ad opera delle forze di sinistra: questa è, a mio giudizio, la responsabilità più grave dei gruppi dirigenti del centrosinistra nell’ultimo decennio, sia sul piano del governo che su quello del Partito. Se si vuole capire dove siamo, questo è il punto da cui ogni analisi deve partire. Pensiamo alla esperienza delle primarie: in essa si è espressa una eccezionale volontà di partecipazione, addirittura in forme ingenue, alla quale si è risposto con la ricostituzione di un vecchio ceto politico, incapace di comprendere e guidare, da sinistra, i processi di trasformazione della società italiana. Della qual cosa è conferma precisa l’attuale preparazione del prossimo Congresso del Pd: invece di parlare dei temi del Paese tutte le energie sono concentrate sul nome del prossimo segretario. Ciò che maggiormente fa impressione è il silenzio del Pd rispetto all’attuale decadenza-sociale, etico-politica e anche religiosa dell’Italia in quanto nazione. Così come non si dice una parola sulla fine della “questione meridionale”. Non si reagisce nella misura necessaria neppure di fronte alle varie prodezze di Berlusconi.
Per “scomporre” e “ricomporre” ci vogliono tempo, energie, progetti. E per rimotivare gli uomini e le donne che continuano a riconoscersi nel centrosinistra ci vogliono idee e valori civili condivisi. Né c’è dubbio che al primo posto debba essere messo il valore dell’eguaglianza. Oggi è diventato di moda battere il tasto del merito; ma se non si vuole tornare all’apologia degli “spiriti animali” – come a volte capita anche a sinistra per mancanza di autonomia culturale – è necessario congiungere battaglia per l’eguaglianza e riconoscimento del merito individuale, sviluppando le politiche sociali ed economiche indispensabili e ripensando la stessa questione della cittadinanza. Sono questi i temi dell’agenda politica, ai quali la destra italiana – per quanto rozza e violenta – ha dato una risposta che oggi è diventata vincente, imponendo “sensi comuni”, concezioni della politica e della vita che infrangono, nei fatti, l’unità del Paese. Non credo a differenza di altri, che la partita sia risolta, né che la destra sia destinata a governarci per il prossimo decennio. Il programma indicato da Prodi è però lungo e difficile: ci sono molte macerie sul cammino, che andrebbero individuate facendo anche i conti con la sua esperienza di governo, come egli stesso ha cominciato a fare. Ha il merito, però, di specificare alcuni dei temi sui quali dovrebbe concentrarsi la preparazione del Congresso Pd, invece di scontrarsi sul nome del prossimo segretario, a colpi di sondaggi. Altrimenti si finirà come il cavaliere di cui parla il poeta: «continuava a cavalcare ed era morto…».

L’Unità, 21 agosto 2009

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