Alla vigilia dell’apertura dell’anno scolastico restano irrisolti molti nodi e i sindacati annunciano un autunno caldo
Non sarà facile il prossimo anno scolastico. Lo hanno ben presente i presidi, alle prese con l’organizzazione delle classi e delle scuole stesse, e i sindacati che già annunciano un autunno caldo.
I tagli, voluti dal ministro Tremonti e accettati dalla Gelmini, porteranno un vero putiferio negli istituti scolastici: meno docenti nelle aule, accorpamento di queste ultime a fronte di un aumento della popolazione studentesca, meno personale non docente, chiusura di plessi scolastici soprattutto di quelli situati in territori marginali.
Una situazione difficile, come hanno evidenziato a più riprese anche le Regioni, e che rischia di mettere in discussione lo stesso diritto allo studio.
L’ultimo capitolo è stato scritto ieri: i tagli al personale non docente sono ormai legge dello stato e i tagli del 17 per cento degli assistenti amministrativi, assistenti tecnici e collaboratori scolastici sono interamente confermati.
Quindi, per tre anni consecutivi, a partire dal prossimo primo settembre, spariranno circa 14mila posti di personale Ata: in tutto 42mila unità.
Un piano attuativo che si abbatterà totalmente sul personale precario (come del resto anche quello che prevede 87mila insegnanti in meno): un lavoratore Ata della scuola su tre viene infatti annualmente richiamato in servizio a settembre, dopo la scadenza del suo contratto avvenuta al termine dell’anno scolastico precedente.
Un piccolo esercito di lavoratori precari, circa 80.000 persone su 250.000 totali, che si aggiunge ad almeno altri 120.000 docenti supplenti.
Senza considerare le altre decine di migliaia di lavoratori chiamati per le cosiddette supplenze brevi.
A lanciare l’allarme sono, ovviamente, i sindacati: le conseguenze saranno pesanti e le ripercussioni maggiori si avranno nelle amministrazioni scolastiche che si ritroveranno con uno-due unità di personale in meno per istituto.
I rischi sono evidenti: meno sorveglianza negli oltre 10.000 istituti italiani, ma addirittura sono a rischio l’apertura e la chiusura dei plessi scolastici più piccoli e decentrati.
Il regolamento pubblicato ieri sulla Gazzetta ufficiale, comunque, prevede anche una novità: il preside potrà utilizzare personale di ruolo per coprire i posti vacanti. Il risparmio sarebbe assicurato perché al personale spetterebbe al massimo la metà del compenso assegnabile al personale precario. Ai rappresentanti sindacali di ogni istituto spetterà quindi la definizione delle modalità di adozione di questo meccanismo. A farne le spese saranno, in ogni caso, i lavoratori inseriti nelle lunghe liste d’attesa per essere assunti. E difficilmente i sindacati di categoria saranno d’accordo.
Ma intanto le persone che si ritroveranno senza lavoro che faranno? Il 5 agosto scorso il ministero dell’istruzione ha firmato una convenzione con l’Inps che permetterà a circa 16.000 docenti e ad altre migliaia di lavoratori non di ruolo di percepire mensilmente una cifra vicina alla metà dello stipendio. Il provvedimento, però, è slittato a settembre e il rischio è che si inizi l’anno scolastico con una situazione ancora tutta da definire.
Inoltre, un nodo rimane ancora irrisolto: quello della partecipazione delle regioni attraverso il finanziamento di progetti di sostegno alla didattica che vedrebbero impegnati proprio i lavoratori rimasti senza impiego. Solo un terzo delle regioni avrebbe dato la disponibilità. Questi mini-stipendi potrebbero quindi venire erogati con entità economiche diverse, proprio per i contributi diversi forniti dai governatori.
da Europa
1 Commento