La scoperta della implicazione di un gene, Huwe1, nel processo che porta alla formazione di un tipo particolare di glioblastoma, il glioblastoma multiforme, assume quindi una particolare importanza, anche per il modo attraverso il quale ci si è giunti. Perché?
Il cancro, il nome collettivo che comprende tutti i diversi tipi di tumori, è considerato un obiettivo fondamentale della ricerca scientifica di oggi e su questo obbiettivo sono state concentrate enormi risorse in termini di uomini e di fondi. Il problema è che le ricerche non si fanno da sole e talvolta non bastano neppure soldi e persone, soprattutto se ci si accanisce in maniera miope sull’obbiettivo principale. I veri progressi vengono dalla ricerca biologica di base che può condurre, come in questo caso, a scoperte che sono comunque importanti in sé e che trovano poi un’applicazione nella lotta ai tumori. Nel caso specifico poi la scoperta ha a cha fare con la biologia delle cellule staminali del cervello e potrà trovare altre applicazioni in una varietà di malattie cerebrali, non necessariamente di natura tumorale.
Di che si tratta? Le cellule del cervello, neuroni e cellule di supporto dette collettivamente gliali, si originano – durante lo sviluppo embrionale, ma anche per un certo tempo dopo la nascita – a partire da cellule staminali cerebrali che si moltiplicano rimanendo identiche a se stesse. Ad un certo momento smettono di replicarsi identiche a se stesse e alcune cominciano a diventare cellule mature, chi neuroni e chi cellule gliali. Per rimanere staminali le cellule cerebrali devono mantenere praticamente spento il gene Huwe1, mentre lo devono attivare quando si preparano a divenire cellule mature. Topolini di laboratorio che non possiedono la proteina corrispondente non riescono infatti a produrre cellule cerebrali mature. Accade spesso che le cellule tumorali differiscano da quelle normali perché possiedono qualche caratteristica in comune con le cellule staminali, caratteristica che permette loro di crescere e moltiplicarsi senza regola. Ecco che allora si è pensato di studiare il destino della proteina Huwe1 in alcune forme di tumori cerebrali e si è scoperto appunto che nel glioblastoma multiforme la proteina in questione praticamente non c’è. Semplice e lineare: scoperta di natura fondamentale, formulazione di un’ipotesi applicativa, conferma sperimentale della stessa. Così procede la vera scienza, quella che conta e che dura. Fa piacere, e nello stesso tempo ci causa un certo rimpianto, che in questa scoperta pubblicata su Developmental Cell siano implicati tre ricercatori italiani a New York, i biologi molecolari Antonio Iavarone e Anna Lasorella nonché il bioinformatico Andrea Califano.
dal Corriere della Sera
i fatti da www.repubblica it: “‘Fuggiti’ dall’Italia per nepotismo scoprono gene per lo sviluppo”, di Rosaria AmatoNel 2000 hanno lasciato l’Italia per gli Stati Uniti, in polemica con il sistema nepotista dell’università, che non permetteva loro di sviluppare adeguatamente le loro ricerche sui tumori al cervello dei bambini. Negli Stati Uniti hanno trovato i mezzi, lo spazio, il sostegno di due prestigiose università, prima la Albert Einstein e dopo la Columbia. E adesso Antonio Iavarone e Anna Lasorella annunciano la scoperta del gene che svolge un ruolo chiave nello sviluppo delle cellule staminali e che è coinvolto anche nel più aggressivo fra i tumori del cervello. Sono gli stessi ricercatori a parlare della loro scoperta in un articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista Developmental Cell.
“Adesso – spiega Iavarone – abbiamo trovato una proteina capace di distruggere alcune delle proteine-chiave utilizzate per ottenere le Ips e di far ripartire quindi la trasformazione delle cellule staminali in cellule adulte”. La proteina si chiama Huwe1 e la sua scoperta potrebbe in futuro portare anche a nuove terapie contro i tumori cerebrali.
“La molecola – spiegano i ricercatori – si è rivelata indispensabile per la corretta programmazione delle cellule staminali del cervello perché grazie ad essa si formano i neuroni durante lo sviluppo dell’embrione di topo. Ma abbiamo anche scoperto che la stessa proteina viene eliminata durante lo sviluppo del più maligno tumore del cervello che colpisce bambini e adulti, il glioblastoma multiforme”.
Durante la formazione del cervello dell’embrione, spiegano i due ricercatori italiani nell’articolo che presenta la loro scoperta, “le cellule staminali che risiedono nel sistema nervoso si dividono ad una velocità molto alta prima di trasformarsi, dando origine alle cellule nervose mature, i neuroni. Perché questo processo avvenga in maniera corretta, le proteine che mantengono le cellule nello stato staminale ed immaturo devono essere eliminate”.
Cosa accade invece nel caso di tumori al cervello? Secondo la scoperta di Anna Lasorella, “nel topo, in assenza di Huwe1, le cellule staminali si moltiplicano in modo incontrollato per cui la formazione dei neuroni è compromessa e lo sviluppo del cervello procede in modo anomalo”. A questo punto, il dottor Iavarone ha ipotizzato che “l’attività di Huwe1 possa essere deficitaria nelle cellule dei tumori nel cervello dell’uomo”, ipotesi che ha trovato ampio riscontro. “La perdita di Huwe1 potrebbe essere una importante tappa nello sviluppo dei tumori cerebrali più maligni, i glioblastomi multiformi, ed una modalità mirata di terapia per questo tipo di tumori potrebbe derivare se riuscissimo ad aumentare la funzione di Huwe1 nelle cellule tumorali”, concludono i due ricercatori.
Combattere il tumore al cervello è l’obiettivo che Antonio Iavarone e Anna Lasorella, marito e moglie da molti anni, si sono posti dai primi anni di studio all’Università. “Siamo entrambi pediatri, io sono di Benevento e mia moglie di Bari, e ci siamo conosciuti al Policlinico Gemelli, all’inizio degli anni ’90: lavoravamo tutt’e due al reparto di Oncologia pediatrica. Grazie alle nostre ricerche avevamo ottenuto un grande finanziamento da parte della Banca d’Italia. Ma a un certo punto ci siamo resi conto che non potevamo fare il nostro lavoro in Italia, e così ci siamo spostati in America, a New York, prima alla Albert Einstein, nel 2000, e poi alla Columbia nel 2002”.
Iavarone non torna volentieri sulle ragioni che hanno spinto lui e la moglie a emigrare negli Stati Uniti. Ma Repubblica si è occupata con molta attenzione della loro vicenda, raccontata in un articolo del 5 ottobre 2000 da Elena Dusi, e ripresa successivamente da Curzio Maltese. “Da noi la bravura non paga”, s’intitolava l’articolo che per la prima volta parlava della vicenda. “Il primario di oncologia, il professor Renato Mastrangelo, ha cominciato a renderci la vita impossibile – raccontava nel 2000 a Elena Dusi Iavarone – Ci imponeva di inserire il nome del figlio nelle nostre pubblicazioni scientifiche. Ci impediva di scegliere i collaboratori. Non lasciava spazio alla nostra autonomia di ricerca. Per alcuni anni abbiamo piegato la testa. Poi, un giorno, all’inizio del ’99, abbiamo denunciato tutto”.
E a quel punto, anche sulla scia di una denuncia per diffamazione effettuata dal professor Mastrangelo (“Abbiamo vinto la causa”, dice Iavarone) ai due coniugi ricercatori non è rimasta che la via del volontario esilio. Che si è rivelata molto proficua, dal momento che lavorare negli Stati Uniti ha permesso loro di sviluppare nel migliore dei modi le loro intuizioni, dando una speranza a chi contrae questa terribile malattia.
L’unico commento che si riesce a strappare sulla vicenda che li ha allontanati dall’Italia (dove torneranno comunque a settembre, per presentare la loro scoperta), è che “il nostro caso è stato paradigmatico per quanto riguarda le caratteristiche, ma non è certo un caso isolato”. “Però non mi chieda altro – conclude Iavarone – altrimenti ci dicono che facciamo sempre polemica. E invece noi adesso vogliamo parlare solo della nostra scoperta, che ci fa essere molto speranzosi per gli sviluppi futuri delle cure”.