C’è chi, nel mondo del lavoro, si fa la bellezza di due mesi di ferie. Non si tratta però di un lusso da invidiare, di una situazione dorata come qualcuno potrebbe pensare. Trattasi, infatti, di ferie obbligatorie, imposte e non pagate. Questa “manna” di tempo libero è riservata a migliaia di precari della scuola.
Lo ha spiegato bene una di loro, in una lettera ospitata, qualche tempo fa, dal sito della Cgil delle Marche (www.marche.cgil.it/flc/scuola). L’autrice spiega di essere una insegnante precaria, una delle tante (e dei tanti) in Italia colpiti dalle misure del ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini. Ogni anno nei mesi di luglio e agosto, racconta, ci ritroviamo, improvvisamente ma puntualmente, disoccupati. Lei e i suoi colleghi sono inseriti nelle cosiddette graduatorie permanenti.
Non sono dei pivellini alle prime armi. Hanno già superato uno o più concorsi dello Stato, si sono aggiornati, hanno prestato anni di servizio, hanno maturato esperienza, hanno svolto, anno dopo anno, il loro delicato lavoro di formazione ed educazione. Ma sempre in attesa di un posto stabile, un posto che non arriva mai. Non sono nemmeno, come spesso si è portati a credere, semplici supplenti che occupano il posto di un collega assente. Questi “precari storici” sono chiamati ad occupare, di anno in anno, un posto vuoto, destinato a ritornare vuoto l’anno successivo.
Perché questo andazzo? Perché, spiega la lettera, “i docenti nominati a tempo determinato costano molto di meno di uno di ruolo”.
E così, con la fine dell’anno scolastico ecco arrivare puntuale il vergognoso rito estivo della vacanza obbligatoria per luglio e agosto. Senza quello stipendio che nei mesi normali comunque rimane bloccato, senza scatti di anzianità… Senza gli ammortizzatori sociali. Con l’attesa, a settembre, di un nuovo contratto. Così fino alla pensione non certo da nababbi.
Molti hanno 40-50 anni e col passare del tempo, degli anni, diventa più difficile riciclarsi per altri lavori. «Chiediamo – conclude l’insegnante nella sua lettera – di essere rispettati e riconosciuti come lavoratori e professionisti e non come accattoni da sganciare come una zavorra».
Sono le testimonianze accorate di una scuola “usa e getta”, una scuola a chiamata, una scuola dove anche l’istruzione, oltre al corpo docente, rischia di diventare sempre più precaria. Una scuola, infine, dove non s’investe ma si taglia. E dove si fa credere che i problemi si risolvano solo ridando valore al voto in condotta.
da L’Unità
http://ugolini.blogspot.com/
Pubblicato il 17 Agosto 2009
3 Commenti