Concluso positivamente il caso Innse, il leader Gianni Rinaldini guarda al futuro dell’industria italiana. Con apprensione per le nuove vertenze. «Ma la riconversione ecologica delle produzioni è una priorità».
«La vertenza della Innse si è conclusa positivamente. Ma quest’esperienza ci dice che, in queste situazioni, non esiste una sola modalità di lotta. Bisogna considerare la situazione che ti trovi di fronte e i tuoi obiettivi. La priorità, comunque, è salvaguardare l’unità dei lavoratori. E fare attenzione alle nuove vertenze». Poche ore dopo la soluzione del caso dell’Innse, il segretario nazionale della Fiom Cgil, Gianni Rinaldini, parla con Terra. E pensa al dopo. Alle emergenze dimenticate dai media. Alle nuove forme di lotta e alle opportunità, concrete, fornite dalla riconversione delle tecniche di produzione.
«Alla Innse sono saliti sul carro gru – ricorda – perché non c’erano altre forme di protesta percorribili. A Melfi fu usata un’altra modalità: il blocco dei cantieri». La flessibilità applicata alle forme di lotta. Ma in giro per l’Italia ci sono anche altri casi, di cui però nessuno parla. «Prendiamo la vicenda, accaduta sempre a Melfi: uno stabilimento con 180 dipendenti che si ferma senza che sia stata attivata anche solo la cassa integrazione. E mentre l’impianto era chiuso per ferie. Nel periodo estivo ci sono stati dei blitz. E ora temo che ce ne saranno altri». Andiamo verso un autunno difficile?
«Sicuro. Si prospetta una situazione di tensione che metterà assieme la crisi con la questione del contratto. Non è un caso – sottolinea il leader sindacale – che nella nostra piattaforma, oltre alla richiesta del rinnovo del contratto c’è quella del blocco dei licenziamenti, insieme all’estensione degli ammortizzatori sociali anche rispetto ai processi di riconversione degli stabilimenti». Nuove tecniche di produzione, ecco l’altra grande priorità. Che vede nella riconversione su base ecologica un suo pilastro. Spostare l’asse dalla produzione alla qualità. E non si tratta di slogan. La realtà già c’è. Ed è positiva. «Prendiamo l’Electrolux – osserva Rinaldini -. C’è stata una totale riconversione per un’attività sul fotovoltaico con 400 dipendenti a Scandicci. E altre realtà si stanno sviluppando».
La chiave di volta? «Non relegare la questione ambientale a un solo aspetto, ma farle attraversare tutti i settori». E la politica? «Purtroppo il governo non ha previsto investimenti per assecondare l’eventuale ripresa», rimarca Paolo Nerozzi, già segretario confederale Cgil e ora vicepresidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle “morti bianche”. «E invece bisogna investire molto per invertire la rotta. E a questo processo devono contribuire i cittadini, che spesso ragionano troppo “alla giornata”, le industrie, una cui parte non minoritaria ha preferito investire sulla rendita ma non sul futuro, e la politica. Che è la maggiore responsabile della situazione in cui ci troviamo ».
Ma non basta opporsi al governo, bisogna individuare delle priorità. «Che sono la green economy e la qualità», ribadisce Ermete Realacci, deputato del Pd e “padre” di Symbola, la fondazione per le qualità italiane. «I prossimi mesi saranno difficili, specie per le piccole e medie imprese. In Italia investire nel rapporto tra territorio ed economia reale è sempre più fondamentale». «Nella sfida della green economy – rimarca – è insito un concetto di diritto onnicomprensivo: al lavoro, all’ambiente e alla qualità».
Una strada che, dopo la presa di coscienza a livello planetario delle priorità ecologiche, comincia a essere intrapresa dai più e che vede protagonisti, insieme, futuro e diritti. «Certo – spiega Nerozzi -, se oggi una fabbrica chiude, il primo a essere licenziato è l’extracomunitario, il secondo il precario e il terzo la donna. Oggi la ricostruzione di un’idea di fraternité non è semplice. Ma le lotte operaie hanno inseguito cause giuste, perché queste forme di lotta forniscono alle persone un importante protagonismo ». E oggi tornano anche a essere vincenti.
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