Massimo D’Alema ha detto qualche giorno fa che il Pd non è un’associazione a delinquere. Affermazione forte, che attribuisce all’inchiesta di Bari sulle presunte tangenti a esponenti del centrosinistra l’intenzione, o comunque la conseguenza, di criminalizzare il nostro partito come se fosse, appunto, una banda dedita al malaffare. Affermazione forte e non proprio beneaugurante, poiché ricorda la celebre arringa in difesa della Dc pronunciata in Parlamento da Aldo Moro – «non ci faremo processare nelle piazze» -, seguita dopo non molto da Tangentopoli e dal collasso dei partiti che avevano governato l’Italia per un quarantennio. Concetti analoghi a quelli espressi da D’Alema si ritrovano in un intervista di Nicola Latorre al Corriere della Sera: «Nel Pd non esiste una questione morale».
È vero, naturalmente, che il Pd non è una banda. Ma sulla questione morale non abbiamo le carte in regola: più ancora che per le (tante) inchieste giudiziarie che vedono coinvolti amministratori democratici, ciò è vero per l’oggettiva opacità di troppe nostre scelte sul tema dei rapporti tra etica e politica.
Gli esempi purtroppo abbondano. Due fra tutti: non va bene che in un’amministrazione regionale di centrosinistra l’incarico di assessore alla Sanità sia affidato a un imprenditore della sanità (Tommaso Tedesco); e non va bene che un “governatore” del Pd (Antonio Bassolino) con evidenti e gravi responsabilità politiche personali per un’emergenza rifiuti che affligge drammaticamente la sua regione da oltre un decennio (e del quale la Procura di Napoli ha chiesto recentemente il rinvio a giudizio per tale vicenda), resti al suo posto.
La posizione di D’Alema e Latorre fa purtroppo il paio con l’“indifferentismo” etico di molti commentatori. Tra questi Angelo Panebianco, per il quale (Corriere della Sera del 4 agosto) il Pd rischia di restare vittima del suo stesso moralismo. Sarebbe moralismo, insomma, pretendere che chi amministra la cosa pubblica in nome e per conto dei cittadini lo faccia nel loro interesse e non in quello proprio o di qualche suo amico, socio o parente. Posizioni come queste dimostrano, in realtà, che la questione morale che investe anche il Pd nasce da un problema assai più grande: i limiti culturali e civili di una classe dirigente che nella politica, nei media, nell’economia, ha un’idea generalmente debole dell’interesse generale, del bene comune. Anche per questo gli italiani non si sentono una “patria”, anche per questo uno dei compiti più ambiziosi e più ardui che toccano al Partito Democratico è di restituire forza e dignità all’interesse nazionale.
Pubblicato il 12 Agosto 2009
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