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“Alle donne italiane dico: non siate docili riprendetevi la parola” conversazione con Nadia Urbinati, di Concita De Gregorio

Tutto avviene nel silenzio. C’è un’idea diffusa di impotenza, di rassegnazione. Alla politica si è sostituito il potere. La gestione delle cose, gli affari privati. Tutto è ormai una faccenda privata: di scambi, di soldi, di favori. Dove sono i cittadini, in questo paese? Dove sono le donne? In tutto il mondo le donne sono in piazza. Alla sbarra a Teheran, massacrate in Iran, prigioniere in Birmania. Volti femminili che diventano icone della protesta. Qui, in questa nostra democrazia in declino, di donne si parla per dire delle escort, delle ragazzine che dal bagno attiguo alla camera da letto del tiranno telefonano a casa alla madre per raccontare, contente, “mamma sapessi dove sono” e rallegrarsi insieme. E fuori, e le altre? Silenzio. L’apatia ci accompagna…».
Il tempo del silenzio, ripete Nadia Urbinati, docente di Teoria politica alla Columbia university. «Avrei voluto far qualcosa, in questi mesi estivi che passo in Italia, ma mi si dice che si deve aspettare l’autunno. Non capisco come mai. Non vedo che altro ci sia da aspettare. Le vittorie di Berlusconi appaiono ormai la conseguenza e non la causa dell’indebolimento della presenza attiva dei cittadini nella vita pubblica. Non c’è nulla da fare, sento dire. C’è, da parte delle persone attorno a noi, una specie di accettazione. Il senso dell’inutilità dell’agire collettivo. Non serve, si dice. Non produce effetti. Solo la pubblicità produce effetti».
«Ci hanno ingannati, in questi anni, illudendoci che si potesse partecipare stando a casa: davanti allo schermo di una tv, in un blog al computer. Soli davanti al video. È nato un pubblico che si cela al pubblico. Impotente, rassegnato. Si è fatta strada un’idea maggioritarista: quella che dice che chi vince ha ragione per definizione, in quanto vincitore. Poiché vince non può aver torto. La verità sta con la maggioranza. È un’idea che non prevede il dissenso.
Il dissenso infastidisce, non se ne comprende il valore né l’utilità, non si tollera. La voce dell’opposizione è una voce che disturba. Berlusconi esprime un’idea egemonica che gli sopravviverà. L’opposizione d’altra parte non fa che riconoscere la forza dell’avversario (ho sentito giovani del Pd ammirare la Lega per il radicamento sul territorio ignorando i contenuti di quel radicamento). L’opposizione è assente. Manca un partito capace di parlare con voce forte e chiara. Negli ultimi tre mesi l’Unità e la Repubblica hanno avuto la capacità di far infuriare il tiranno, l’opposizione no. Persa nella sua battaglia interna, persa nell’incapacità di parlare con le parole della politica. Un vuoto che apre la strada ad un nuovo populismo giustizialista. Ho sentito Prodi dire: Berlusconi è il vuoto. Putroppo no, non è vuoto, è pieno di linguaggio e di azione. È l’opposizione a non avere linguaggio ed azione da opporre, manca un partito che incalzi. Quel che fa questo governo non è ridicolo, non è schifoso come ho sentito dire dai leader negli ultimi giorni. È tragico. Le gabbie salariali sono la rottura di un patto di solidarietà e giustizia tra i cittadini, un piede di porco capace di smembrare il paese. Le ronde sono un pericolo gravissimo, oltre ad essere un modo subdolo per distribuire finanziamenti pubblici. Sull’unità d’Italia? Nulla. Se non ci fosse l’Europa a contenerci saremmo sull’orlo della guerra civile».
«Siamo orfani di politica. Il potere ha preso il suo posto: chi lo detiene lo usa attraverso mezzi privati, conti in banca, soldi, scambi di favori. Berlusconi durerà. Tutto questo non finirà con lui. Questo governo non è Berlusconi, è la visione organica della società che lui rappresenta. Abbiamo imparato a giustificare sempre tutto. Ci sarebbe bisogno di avere una visione morale della politica, invece. Non c’è. Non abbiamo una cultura della responsabilità morale: anche se non penalmente perseguibili certi atteggiamenti sono moralmente turpi. Bisogna dirlo, ripeterlo, cercare ascolto, pretendere risposta.
È stata una trasformazione molecolare. Dopo anni di partecipazione si è spenta nella mente del cittadini la dimensione pubblica. La democrazia si è fatta docile e apatica. Vista dall’estero l’Italia non ha più nulla da dire, resta solo un esempio interessante da studiare sul declino della democrazia.
Penso alle donne, poi. Neda, San Suu Kyi, le donne nel mondo. In Italia a parte qualche importante figura femminile isolata, niente. Sulle prostitute e le minorenni di cui si circonda il Presidente le parlamentari del Pd si sono schierate dieci giorni fa. Forse si teme di essere indicati come bacchettoni, di trasformare la politica in morale. Fatto è che donne che appartengono al privato (Veronica e Barbara Berlusconi) hanno avuto un ruolo politico, quel ruolo che chi fa politica non trova. Le generazioni del femminismo si sono scollate. Le ragazze che vanno a palazzo Grazioli dal bagno del tiranno telefonano alla madre, contente. Le loro madri hanno la nostra età. Cosa è successo tra quelle madri e queste figlie, tra noi e loro? Le grandi personalità si sono ritirate a scrivere le memorie degli anni d’oro, quasi a rivendicare un’autorità su e insieme un’estraneità da questo tempo. Io l’avevo detto, io l’avevo scritto. Personalismi, una contro l’altra, non c’è più la capacità di mettere in comune le esperienze, tessere una trama, rinunciare a qualcosa di proprio per l’agire collettivo. Quello che dà fastidio, poi, è questo continuo lamento, solo lamento. Tutti che chiedono rivendicano protestano e si lagnano, tutti che pongono problemi e nessuno che offra soluzioni. Anche attorno a noi, nella vita, è così. Lamentarsi è facile e non costa nulla, invece proporre una soluzione significa assumere una responsabilità, pagare il prezzo di una decisione..
Lamentarsi, risentirsi, portare rancore: anche queste sono forme private di agire. La dimensione pubblica – quella di chi si attrezza ad unire le forze e costruire gli strumenti per cambiare le cose, insieme – è svanita. I giovani sono figli di questo tempo. Tutto per loro è privato, totalmente privato. Bisogna ripartire da capo. Dalle cose essenziali. Lanciare un appello, per esempio, alcune donne si preparano a farlo: lanciare appelli non è un modo vecchio di agire. È nuovo, oggi. È di nuovo nuovo. Non essere docili, ripartiamo da qui».
L’Unità 12.08.09

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