Un anno fa la finanza mondiale viveva in modo sempre più pericoloso. Grazie ai massicci interventi di banche centrali e governi, non c’è stato il tracollo. Ma non si capisce bene da dove potrà venire il rilancio, né quando, dice Mario Deaglio, ex direttore del Sole 24 Ore, editorialista della Stampa e professore di economia internazionale a Torino. Nella primavera 2008, con un’analisi intitolata “La resa dei conti”, Deaglio anticipava molti giudizi su cause e portata della crisi. E ora, a che punto siamo? Professor Deaglio, che fiducia dare ai segnali positivi su produzione, export e altre voci in vari paesi?
Il sistema globale si sta divaricando. Da un lato abbiamo Cina, India, alcuni altri Paesi asiatici, il Brasile, dove crisi ha voluto dire essenzialmente un rallentamento della crescita che ora sta più o meno ripartendo. Nei Paesi sviluppati invece la crisi si identifica con mutamenti strutturali importanti.
È una malattia da cui si guarisce in fretta o no?
Non lo so, trovo che le analogie con l’influenza suina siano utili. Abbiamo una malattia di ceppo non ignoto, ma che non si verificava da molti anni, da prima della seconda guerra mondiale, per la quale non abbiamo ancora trovato il vaccino adatto.
C’è da credere a chi teme una cronica sovraccapacità produttiva in molti settori?
No, non direi cronica, cioè definitiva. Ma certamente in alcuni settori ci sarà, c’è già, sovraccapacità. E credo sia sbagliato pensare al suo superamento in termini di mesi o trimestri; occorrerà più tempo, uno o due anni.
Gli economisti sono da mesi criticati non solo per non saper offrire strategie di uscita, ma per non aver previsto l’arrivo della crisi.
L’addebito che più aiuta a capire gli errori è quello di essersi concentrati troppo sulle tecniche specifiche di comprensione dei mercati dimenticando il quadro generale. La professione ha dimenticato un po’ troppo lo studio della storia. Strategia e politica incidono sul comportamento’ economico. Invece tutto questo è stato dato per scontato, E non è così. Ci si è trovati quindi impreparati di fronte a mutamenti che non sono soLo economici, ma di pesi specifici politico-strategici. Quanto allo scenario, alcuni settori sono già in sovracapacità le banche fanno bene a frenare il credito, le accuse che da mesi vengono rivolte a molti economisti, di aver elaborato modelli e formule inattendibili, c’è da dire che quasi sempre gli autori dei modelli hanno messo in guardia contro i rischi di un loro uso eccessivo. Altri li hanno usati a sproposito, per interesse a volte. Gli errori comunque ci sono stati, anche se più nella scuola americana e nei suoi diretti collegamenti europei che non in alcune scuole europee, con quella francese che ne è rimasta abbastanza al riparo.
Chi sta peggio al momento, gli Stati Uniti o l’Europa?
Le pressioni congiunturali si fanno sentire più in Europa. Nel lungo periodo tuttavia sono più colpiti gli Stati Uniti. Molte banche dell’Europa continentale sono rimaste scottate, e il nostro intero sistema è coinvolto, per questa crisi resta nella sua genesi soprattutto americana e britannica.
Le sembra possibile, come fanno a volte i politici, indicare una data più o meno precisa per la ripresa?
Credo che avremo per un certo periodo molte false aurore , com’è stato il caso per il Giappone, che è in crisi da 5 anni. Questo perché vi sono spesso alcuni settori importanti che registrano una qualche ripresa, in quanto occorre ricostituire le scorte, oppure perché la domanda di certi beni durevoli ogni tanto deve farsi sentire. Credo che la vera crescita, il ritorno cioè a tassi di sviluppo pro capite analoghi a quelli di alcuni anni fa, non sia vicinissima.
Ma le banche non potrebbero fare di più, dare più credito?
Su questo si fa a volte facile polemica. Le banche intermediano denari altrui, e sono guardinghe perché spesso non sono in grado di prevedere quali potranno essere le perdite dei trimestri successivi. Non si sa quanti crediti diventeranno inesigibili, non si sa l’esatto valore di vari titoli in portafoglio. Quindi le banche si tutelano con maggiori accantonamenti, come indicano del resto le norme di Basilea. Se tutti concedessero credito come a volte viene autorevolmente richiesto, il sistema diventerebbe ancora più a rischio.
Quindi, a quasi undici mesi dai casi Lehnian, Aig, Royal bank of Scotland e altri, la sicurezza del sistema è garantita ancora dalla mano pubblica?
Sì, ma con una pesante conseguenza, il trasferimento del rischio alle banche centrali. Basta guardare il bilancio della Federal reserve, per spaventarsi. La grande nave dell’economia può saper stare a galla, ma non riesce ripartire. E chi potrebbe del resto farla ripartire? I consumatori americani, grande motore degli ultimi 20 anni, che invece devono ridurre i propri debiti? Le grandi opere pubbliche, che hanno però un impatto molto lento?
E l’inflazione, professore?
Io credo che ciascuno di noi dovrebbe prepararsi un appunto, e metterlo sempre bene in evidenza nella propria bacheca, sul fatto che l’inflazione tende a essere una conseguenza molto probabile dopo creazioni così massicce di debito pubblico e moneta. Con comoda distruzione del debito pubblico, ma anche di molte ricchezze private, grandi e piccole. Però con l’inflazione si riparte. Se non funziona il resto, questo funziona.
I rischi?
Un ex ministro del Tesoro mi diceva recentemente che tutti i ministri del Tesoro, di destra e di sinistra, se posti di fronte all’alternativa tra un 25% di disoccupazione e un 25% di inflazione scelgono quest’ultima.
Sono immagini da anni 30…
L’infezione, lo ricordo, è di un ceppo che da quasi 8o anni non si manifestava. Tuttavia per le ragioni che in parte abbiamo visto, l’entità dei danni è nettamente inferiore ad allora.
Il sole 24 ore 11.08.09