Tutti i rischi della nuova edilizia. I grigi capannoni cementizi sfigurano già tanti paesaggi italiani. Tuttavia, con alcune delle leggi regionali partorite dal Piano Casa del Primo Immobiliarista, il cav. Berlusconi, andrà molto peggio. Nel Veneto l’ampliamento di quelli esistenti arriva al 20% della superficie coperta: uno di 5.000 mq si dilaterà a 6.000 (a 7.500 mq qualora il proprietario li adegui al risparmio energetico).
In Lombardia avverrà di peggio: chi li demolisce e li ricostruisce in toto, potrà riutilizzarli a fini residenziali. Lo prevedeva la primissima bozza del Piano Casa berlusconiano: cambiare la destinazione d’uso come cambiarsi la camicia, ma la misura (un flagello per l’urbanistica delle nostre città e periferie) era stata cassata per l’intervento della Conferenza Stato-Regioni. Tuttavia qualche Regione (vedi Lombardia) se l’è tenuta di riserva, mentre altre prevedono agevolazioni parziali. Qualcuna (vedi Piemonte) consente, entro certi limiti, di soppalcare gli amati capannoni. La Valle d’Aosta si segnala fra le più permissive, con tanti saluti alle bellezze naturali e al turismo di qualità.
Ma c’è bisogno di tutta questa fiumana di nuova edilizia? No. Il costruito è già enorme, il boom edilizio tutto di speculazione, o di seconde e terze case è durato dal 2000 al 2007, senza nemmeno sfiorare l’edilizia economica, quella sociale, per la quale siamo precipitati all’ultimo posto in Europa. Sarebbe stato quindi essenziale varare un grande piano per quel tipo di alloggi (destinati a giovani coppie, a famiglie di immigrati, ad anziani soli, ecc… ), puntando contemporaneamente sul recupero del patrimonio esistente, vuoto o degradato. Solo che il governo Berlusconi, indebitato ben oltre i pochi capelli, non ha denari da mettere nel social housing, e quindi offre agli italiani di investire in questo nuovo boom prevalentemente privato impiccandosi per una vita ai mutui. Tanto per rianimare così, nel modo più cinico, un’economia e un PIL altrimenti in netta flessione.
Avremo così una miriade di interventi che gonfiano le cubature esistenti (di un 20-30%), sopraelevano gli edifici (anche fino a 4 metri, nella solita disastrata Lombardia), consentono di demolire e trasferire altrove, con un premio del 60%, costruzioni alzate sul litorale, per esempio, del Lazio (dove le cacceranno non oso pensarlo).
Eppure a Roma un alloggio su sette è vuoto e a Milano risultano deserti ben 900.000 metri cubi di uffici che – come denuncia l’architetto Stefano Boeri, docente al Politecnico – equivalgono a 30 grattacieli Pirelli, mentre sulla città già si addensano le nuove enormi cubature dell’Expo 2015. Non siamo all’impazzimento generale?
L’Unità 11.08.09
Pubblicato il 11 Agosto 2009