Nel gergo giornalistico anglosassone il periodo di piena estate viene chiamato silly season, stagione sciocca con tutti in vacanza, mancano notizie di rilievo, a meno di disastri naturali o geopolitici, tal che i giornali devono andare a caccia di spunti e temi più frivoli con cui riempire le pagine.
Quest’anno, dopo lunga assenza dalla scena politico-economica e dalla memoria (salvo qualche annoiato commento sul rapporti della Svimez), il povero nostro Mezzogiorno è stato servito caldo, e, per così dire, infrivolito, onde ravvivare la silly season.
Che cosa c’è di nuovo? Non è facile capirlo. Per ragioni giuste o sbagliate, le aree sottosviluppate del paese parevano espunte dall’agenda di questo governo; i fondi ad esse destinati erano stati posti sotto sequestro, con il presidente del Consiglio nominato loro custode. Ma govemo e maggioranza si sono trovati politicamente costretti a riparlare di Mezzogiorno quando, con vespri vittoriosi, la Sicilia è riuscita à riprendersi la sua quota. La premessa enunciata per dare ragione di questo rinnovato interesse è la seguente: il Mezzogiorno è questione nazionale, per affrontare la quale serve un intervento straordinario. Verrebbe da dire con Leporello nel finale di Don Giovanni: questa l’abbiamo già sentita e non ieri. Comunque, preso atto di questa conversione ad antichi e quasi dimenticati credi, ci si chiede in che cosa possa consistere questo intervento straordinario, di cui non vi è traccia in programmi d’azione o in documenti contabili.
«Un piano Marshall per il Sud», si è detto in prima battuta. Chi per età o per letture rammenta come quel piano fosse organizzato si abbandona ad una emozionante visione. I governatori delle regioni del Nord, senza distinzione politica, imbarcano a Genova e a Trieste derrate alimentari (forse i surplus agricoli di Padania) e materie prime, da essi regalate alle regioni del Sud, i cui governatori, gratis, ricevono quel materiale a Napoli e a Bari e lo rivendono per destinarne il ricavato al finanziamento dei loro investimenti (o magari dei loro disavanzi cronici).
Bello; ma francamente un po’ troppo, anche in una silly season.
Eccone allora un’altra, meno originale, ma apparentemente più sostanziosa: «Serve una nuova Cassa del Mezzogiorno». Per favore non chiamiamola così, eccepisce il ministro Calderoli. Facile accontentarlo: qualche lustro fa si riforma la allora Cassa ribattezzandola Agenzia per il Mezzogiorno, o più brevemente Agensud, soppressa poi con plauso generale fra il 1993 e 1994. Ma a che cosa servirebbe e come funzionerebbe una rinata agenzia? Non dà risposte il presidente del Consiglio, che pur vola alto e coniuga l’agenzia con il piano: «Dobbiamo concepire l’intervento straordinario come un grande NewDeal rooseveltiano, come il piano Marshall per il Sud»; la pur snella agenzia all’uopo necessaria dovrebbe ispirarsi alla remota (nel tempo e nella sostanza) Tennessee Valley Authority. Bene, e poi? La sola informazione precisa è che questa Mezzogiorno Authority sarebbe guidata in persona dal presidente del Consiglio, con notevole innovazione istituzionale (ma comprensibile in un mondo in cui, come si sa, non vi è alcuno che sappia fare alcunché meglio di lui). Ma quali ne sarebbero i compiti? Assumerebbe la competenza su opere infrastrutturali, agevolazioni industriali, gestione dei residui fondi comunitari, con un viaggio di ritorno dall’intervento ordinario, affidato al ministeri, all’intervento straordinario? Considerando gli anni dell’Agensud, non c’è bisogno di essere leghisti per sentirsi preoccupati. E con quali dotazioni, posto che, come ci viene responsabilinente illustrato, non c’è in giro neppure un euro?
La proposta più concreta (anche perché l’unica un po’ studiata) è quella della Banca per il, o del, Sud. Prevalentemente privata, ci si dice, ma con sostegno pubblico; dedicata al territorio; esercente attività bancaria tradizionale, tant’è che vi si impedisce l’uso dell’inglese. Di più non si sa. In particolare: questa banca si configurerà come istituto specializzato nel credito a medio termine o fàrà credito ordinario? Come farà raccolta solo con obbligazioni o anche con depositi della clientela, in un territorio già fitto di sportelli? Concederà credito agevolato sempre che sia possibile farlo senza erogare aiuti di Stato? Se il proposito è di impedire che i risparmi del Sud finiscano al Nord, saranno posti vincoli ai suoi impieghi?
In tutto questo chiacchiericcio agostano pare darsi per scontato, come in passato, che al centro dei problemi del sottosviluppo del Mezzogiorno via sia mancanza di capitale pubblico e di credito privato. Così non è, come hanno argomentato giovedì scorso Tito Boeri su questo giornale e, sul Sole 24 0re dello stesso giorno, Ivan Lo Bello, il coraggioso e benemerito presidente di Confindustria Sicilia . Lo Bello rappresenta i danni di quello che egli chiama il vecchio «meridionalismo quantitativo»; parla di «un sistema clientelare senza risorse»; rammenta che il principale ostacolo alla crescita economica e civile dell a Sicilia e del Sud è una «coalizione della rendita», consolidatasi nel tempo. Sarà, questa, una coalizione vincente, sin quando, a correnti elettorali alternate, del Mezzogiorno si continuerà a parlare solo in termini della quantità di miliardi ottenuti o negati; o, quando i miliardi non ci sono, a produrre invenzioni senza costrutto buone solo ad alimentare il sistema clientelare con qualche posto in piu.
La Repubblica 10.08.09