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“‘Stessi stipendi’. L’ultima battaglia dei prof precari”, di Alessandro Barbera

Quando l’avvocato lo scorso 11 marzo gli ha comunicato la vittoria in Tribunale era incredula. «I miei colleghi erano scettici, e io con loro. Ero convinta che alla fine avrebbero respinto l’istanza». Invece il giudice del Tribunale di Tivoli Attilio Mari, con il fascicolo 2693/07 gli ha riconosciuto la ricostruzione della carriera, 1976 euro lordi di arretrati e il pagamento delle spese legali alla controparte. Ma ancora più incredula è stata quando prima il 9, poi il 16 giugno e il 19 giugno quest’ultima, ovvero il ministero dell’Istruzione, rinunciando ad ogni ricorso, gli ha riconosciuto l’anzianità maturata e la differenza di stipendio che sana la differenza con i colleghi di religione.
Alessandra Bove ha quarant’anni, è di Roma ma insegna italiano a Palombara Sabina, piccolo Paese disperso nelle campagne romane di Monterotondo. Dopo cinque anni di precariato l’anno scorso è diventata insegnante di ruolo. Per molto tempo, a sua insaputa, aveva guadagnato meno dei colleghi insegnanti di religione. Circa 96 euro lordi, quanto valgono due scatti biennali di stipendio.
Un giorno del 2006 la contatta l’avvocato radicale Claudio Zaza, chiedendole di far causa al ministero della pubblica istruzione. Da allora l’associazione anticlericale.net ha fatto scattare decine di cause «pilota» in tutta Italia. Alessandra Bove è la prima a ottenere ragione. Ora attende la prima busta paga da insegnante equiparata: si tratta di una cifra che oscilla fra i 60 e i 70 euro netti.
«Ho scelto questo mestiere per passione. E con quella cifra la mia vita non cambia di una virgola, ma almeno si è ristabilito un principio di equità», racconta l’insegnante. «Non sono anticlericale, ho il massimo rispetto per i miei colleghi di religione, ma quella differenza di trattamento non aveva alcuna ragion d’essere». In realtà la ragione logica per il riconoscimento di un aumento di stipendio ali insegnanti di religione precari c’era: prima del 2003 ad essi era infatti consentito l’insegnamento solo con lo status di «incaricati annuali», dunque gli era impedita la possibilità di diventare insegnanti di ruolo. E per questo motivo, sin dal 1961 gli era riconosciuto lo scatto biennale.
Nel 2003 la creazione del ruolo degli insegnanti di religione salva gli aumenti per loro, ma non lo riconosce a tutti gli altri professori di ruolo che fino ad allora non avevano avuto diritto allo scatto biennale. Nel febbraio 2006 l’esecutivo allora guidato da Romano Prodi non mette ordine alla materia e di fatto conferma il pasticcio giuridico. Racconta l’allora ministro Giuseppe Fioroni del Pd: «Quella norma fu oggetto di discussione, e certamente sancisce un principio di differenziazione con gli altri docenti. Fu voluta dal precedente governo, non poteva non essere attuata, e c’era già un contenzioso avviato contro la norma stessa che non si era concluso».
In sostanza, per ogni biennio di lavoro da precario, agli insegnanti di religione – e solo a loro – viene concesso un aumento del 2,5% della retribuzione lorda. Aumento che, una volta passati come insegnanti di ruolo, contribuisce a formare il monte stipendio per il resto della carriera.
Ora il Tribunale di Tivoli e l’ordine di pagamento dell’ufficio provinciale di Roma del ministero hanno costituito un precedente che – dicono i Radicali – potrebbe essere fatto valere da qualunque professore. «Se tutti gli 800mila e più insegnanti italiani facessero causa lo Stato potrebbe essere costretto a sborsare una cifra che oscilla fra 1,5 e 2 miliardi di euro», spiega Carlo Pontesilli, segretario di anticlericale.net. Alessandra Bove in realtà attende ancora i soldi che il Tribunale di Tivoli ha disposto di riconoscerle.
Ma il decreto firmato il 19 giugno dal dirigente scolastico di Palombara Sabina parla chiaro: «Con la presente si comunica che questa istituzione ha provveduto ad emettere il decreto di ricostruzione della carriera a seguito del riconoscimento degli scatti biennali di anzianità e il decreto per la richiesta di liquidazione degli interessi legali».
Tre giorni prima, il 16 giugno, l’ufficio scolastico provinciale di Roma aveva già disposto il pagamento degli arretrati: 1532 euro netti. «Tutto è successo quando la scuola era già finita», racconta la Bove. «Ora sono curiosa di vedere quale sarà la reazione dei miei colleghi al rientro a scuola». A dispetto della sua militanza, Pontesilli ci tiene a sottolineare che lui non considera questa sentenza contro gli insegnanti di religione: «Le nostre cause pilote servono a ripristinare un diritto violato».

La Stampa, 7 agosto 2009