Se il governo dovesse emanare un provvedimento teso a ribaltare quanto deciso dall’Aifa saremo pronti a dare battaglia». Dario Franceschini, segretario del Pd, che già nei giorni scorsi è stato chiaro circa l’uso della pillola abortiva Ru486, ieri dalla Toscana è tornato a parlarne. «Dal momento che siamo in un Paese dove è previsto per legge il ricorso all’aborto, non capisco per quale motivo si dovrebbe dire no all’uso di una tecnica meno invasiva per le donne». Nessuna zona d’ombra. Un punto questo che trova tutti i candidati alla segretaria sulle stesse posizioni. «È giusto – dice Pier Luigi Bersani – nel pieno rispetto della tutela della salute delle donne, che siano consentite tecniche meno invasive. Pur in presenza di posizioni diverse sul tema di fondo dell’aborto, è giusto che si garantisca la piena applicazione di una legge vigente».
Ignazio Marino parla non solo da candidato, ma anche da medico. «Le polemiche attorno alla Ru486 probabilmente si annullerebbe facendo lo sforzo di affrontare la questione dal punto di vista medico. La questione etica, infatti, non riguarda la Ru486 ma l’interruzione di gravidanza che è una tragedia e un dramma in qualunque circostanza e che andrebbe sempre evitata, non credo che nessuno possa capirlo fino in fondo se non una donna che ha vissuto questa esperienza».
Ma in Italia non è come nel resto d’Europa. In Italia capita che la Chiesa lanci minacce di scomunica e inviti i medici all’obiezione, che alcuni parlamentari definiscano il ricorso alla Ru486 una sorta di aborto «fatto in casa», veloce e indolore. O per dirla con Paola Binetti, «l’aborto bricolage, che restituisce le donne alla loro solitudine».
Rosy Bindi, cattolica, avverte Palazzo Chigi: «Il governo e la maggioranza si diano una calmata e dimostrino di avere un po’ più di rispetto e fiducia verso le donne», perché spiega «questa tecnica si applica dentro una legge e non la si può usare né per aggirare la legge né per modificare le procedure già previste».
Marina Sereni, storia politica all’opposto rispetto a quella dell’ex ministro della Famiglia, prima dell’approdo comune nel Pd, dice:«La risposta venuta dal nostro partito, cominciare dal segretario, è chiara: non c’è una ragione per la quale in Italia, dove l’aborto è regolarizzato per legge, non si debba adottare la pillola. Non capisco la strumentalizzazione che ne stanno facendo il governo e un certo modo culturale».
Pina Picierno alla sua prima legislatura a Montecitorio, trova il dibattito «surreale». Racconta che in questi giorni ha sentito moltissime colleghe di partito, «stiamo pensando se è il caso di fare un documento unitario perché siamo di fronte allo stravolgimento dei fatti. Si vuol far passare l’utilizzo di una pratica medica meno invasiva, per altro. Prendere la Ru486 non è come prendere un’aspirina e le donne lo sanno bene». Marianna Madia, invece, non ha telefonato a nessuno. «Ho letto le dichiarazioni di Livia Turco e mi ci ritrovo pienamente. Mi sembra che con questo dibattito si sia arrivati al sadismo». Laura Garavini, capogruppo Pd in commissione Antimafia non esclude l’idea di un documento comune. «Credo che sia positivo che anche in Italia si possa finalmente utilizzare la pillola abortiva, come credo che sia positivo il ricorso alla pillola del giorno dopo che evita decisioni più dolorose e drammatiche».
E chissà quanto c’è di vero nel fatto che il governo debba riaccreditarsi con le gerarchie ecclesiastiche dopo lo scandalo di Papi e delle escort alla corte del presidente del consiglio dei ministri. C’è chi nota che Avvenire, il quotidiano della Cei, ricorda al governo che non tutti si stanno impegnando a sufficienza per contrastare l’uso della Ru486. Famiglia cristiana la definisce «un farmaco di morte». C’è anche chi dice che questo sia il prezzo dell’assoluzione.
L’Unità 04.08.09
Pubblicato il 4 Agosto 2009
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