“In ricordo di Srebrenica”, di Simone Arminio
SREBRENICA — Prima della guerra era una ridente cittadina. L’11 luglio del 1995 per i suoi trentamila abitanti, colpevoli di appartenere all’etnia sbagliata, è iniziato l’inferno. Qualcuno ce l’ha fatta, fuggendo nelle città vicine, altri no. Più di ottomila giacciono nelle fosse comuni — Srebrenica siamo noi. Siamo i palazzoni bruciati del centro cittadino, simbolo di ricchezza e decadenza, dove la gente trova ancora la forza di vivere. Srebrenica, in bosniaco significa “montagna d’argento”: prima della guerra era una ricca città termale a maggioranza bosniacca (l’etnia musulmana che si oppone a quella serba, di religione ortodossa). Un paradiso terrestre che le milizie del generale Ratko Mladic hanno cancellato in poche ore, l’11 luglio 1995, quando i trentamila abitanti di Srebrenica, colpevoli solo di appartenere all’etnia sbagliata, sono stati assediati e spinti a fuggire nella vicina Potocari, sede della forza di interposizione Onu, con il miraggio della salvezza. Chi ce l’ha fatta è sparito nei boschi, in alcuni casi per sempre, in altri arrivando sano e salvo oltre l’assedio, in Croazia o nella vicina Tuzla. Gli …