Amici e non-amici esprimono, ovviamente, giudizi diversi sulle mie riflessioni, ma su un punto sono tutti concordi: sulla necessità che si riconosca che la nostra scuola è in crisi, che i ragazzi sono sempre più ignoranti e che, a volte, certi insegnanti, soprattutto i giovani, non sono da meno! Ad esempio, Giovanni, dirigente scolastico, lamenta che non solo diventa sempre più difficile trovare un verbalizzatore delle riunioni dei consigli di classe – eppure il verbale è una delle tante tipologie linguistiche che dovrebbero essere insegnate nella scuola media – ma, addirittura, quando lo si trova, l’esito non è sempre incoraggiante sotto il profilo della correttezza grammaticale!
Non ho alcuna difficoltà a riconoscere la crisi in cui ci troviamo, anche perché la scuola la conosco. Forse l’enfasi con cui difendo i “didatti” e i “pedagoghi” – i bersagli dei tanti detrattori oggi di moda – è tale da non fare emergere altri rilievi critici! Ma la questione di fondo è un’altra: che è volutamente scorretto che una pubblicistica superficiale denunci la ricerca pedagogica tout court, dagli anni Settanta ad oggi, come causa prima delle difficoltà della nostra scuola! Secondo questa pubblicistica, volutamente semplicista, didatti e pedagoghi, dal ’68 ad oggi – il quarantennio incriminato – si sarebbero adoperati a sollecitare promozioni ad ogni costo finalizzate esclusivamente a far precipitare il Paese nell’abisso dell’ignoranza! E, perché no?, anche profumatamente pagati dai rubli di Mosca! Anche perché i tanti didatti e pedagoghi di matrice cattolica erano semplicemente degli “utili idioti”, furbescamente manovrati da quelli che facevano capo a “Scuola e Città” e a “Riforma della Scuola”, le riviste notoriamente asservite alla sinistra socialcomunista!
Mi domando, e domando: come si possono sostenere sciocchezze del genere? Ci verrebbe mai in mente di dire che la ricerca medica è causa del virus Hini che si sta diffondendo così rapidamente in tutto il mondo? O che la ricerca scientifica è causa del disastro di Viareggio? Insomma, quando non si vuole condurre un’analisi seria sulle difficoltà di una situazione, in questo caso del Sistema di istruzione – e non solo del nostro Paese – la via più facile è quella del “dagli all’untore”!
Ciò che mi preoccupa del “dagli all’untore”, che l’attuale maggioranza ha così bene orchestrato a proposito dei mali della nostra scuola, è che si vuole imboccare una strada che non porta da nessuna parte! Perché, dopo la plateale denuncia dei didatti e pedagoghi, notoriamente rossi, vorrei sapere quali sono i rimedi che vengono attuati! Fino ad ora non vedo che bocciature e tagli: di fatto una scuola per pochi e che spende poco!
I mali della nostra scuola vanno ricercati altrove, in quell’altrove che didatti e pedagoghi hanno sempre denunciato e che altri – la politica, l’amministrazione – hanno sempre sottovalutato, scientemente o meno. Con estrema sintesi e approssimazione, cerco di evidenziare alcuni di questi mali:
– con i Decreti delegati del ‘’74 la scuola doveva “aprìrsi” all’esterno, dare il meglio di sé al territorio ed assumere il meglio da questo, ma… in effetti fu il peggio della “cultura” extrascolastica – in termini di linguaggi. messaggi, esempi negativi, disvalori – che indiscriminatamente nel corso degli anni ha fatto il suo ingresso nella scuola, e questa non ha saputo né opporvisi né operare da filtro intelligente:
– d’altra parte, nella misura in cui la domanda del sociale e del mondo del lavoro si faceva sempre più pressante e mirata, la scuola, che per certi versi tendeva a chiudersi a riccio, quasi in una disperata autodifesa, era sempre meno capace di dare le adeguate risposte;
– gli otto anni obbligatori, formativi e orientativi nel contempo, avrebbero dovuto garantire conoscenze e competenze (il termine competenza non era ancora nel nostro vocabolario; comunque, con la legge 517/77 la programmazione per obiettivi avrebbe dovuto avviare un profondo cambiamento in tal senso) tali da permettere a ciascun alunno di scegliere il suo futuro secondo le sue personali attitudini e vocazioni; in effetti la scuola media ha continuato a svolgere più un ruolo di selezione, come avveniva nella scuola media pre-sessantatadue, incidendo in minima parte sulla cultura di origine degli obbligati;
– così la funzione non sufficientemente formativa e non orientativa della scuola media non solo è stata la prima causa delle bocciature nella scuola secondaria di secondo grado, ma ha contribuito ad alimentare progressivamente, fino alle note inaccettabili percentuali, quel fenomeno della dispersione per il quale siamo tra i primi in Europa;
– non è stata attuata nessuna politica coraggiosa e mirata nei confronti di una formazione degli insegnanti assolutamente nuova, affinché fossero in grado di affrontare le sfide imposte dalle trasformazioni in atto nel sociale e nella cultura – tranne alcune eccezioni per quelli della scuola dell’infanzia e del grado elementare;
– è sotto gli occhi di tutti che gli studi postobbligatori hanno sempre sofferto di due limiti: da un lato l’incapacità di superare e liquidare l’impostazione e la vocazione gentiliana; dall’altro la persistenza nel considerare la formazione professionale, soprattutto quella regionale, come un canale residuale destinato ai cosiddetti ‘meno dotati’, come se una ‘dote minore’ fosse un dato semplicemente ‘naturale’ a fronte del quale né la società né la scuola hanno alcuna responsabilità.
Su tali questioni didatti e pedagoghi hanno sempre detto e fatto, però con scarso successo perché, in effetti, le loro voci e le loro azioni non hanno mai avuto un’alta considerazione. E’ duro battere una tradizione! Gentile aveva liquidato la pedagogia come un sottoprodotto della filosofia, e ci sono voluti parecchi anni perché didatti e pedagoghi non solo ne riscattassero l’autonomia rispetto alla filosofia ma le riconoscessero anche una sua specificità in una costellazione di tanti settori di ricerca. Debesse e Mialaret nel loro Traité des sciences pédagogiques – siamo a Parigi alla fine degli anni Sessanta – indicarono quanti e quali siano i contributi che tante altre scienze possono apportare alla pedagogia, la quale non poteva e non può che essere pluridisciplinare. Da quegli anni la ricerca educativa nel nostro Paese ha fatto passi da gigante, ma… quali ricadute ha avuto nella pratica scolastica, nelle iniziative dell’amministrazione, nelle scelte della politica? Molto molto scarse!
E tutto questo perché è nella nostra distorta tradizione considerare la scuola come un cascame mal tollerato delle attività produttive! Perché il luogo comune vuole che l’intelligenza sia una dote naturale, che poi, scuola o non scuola, si esprime comunque, ovviamente se e quando c’è! Anzi, la scuola a volte la spegne! Perché adoperarsi tanto per cambiarla?
Ed oggi, con questa caccia all’untore didatta e pedagogo, stiamo correndo il grosso rischio di non considerare neanche il grande apporto che alla ricerca educativa può essere dato anche dalle neuroscienze, dalle ricerche nel campo delle biotecnologie, dall’avanzamento dell’high-tech. Sotto questo riguardo, potremmo dire che l’insegnante di oggi ha una preparazione eguale a quella di un insegnante di cinquant’anni fa! Poco è cambiato nel curricolo di studi che lo riguarda. Il che non si verifica, invece, in altri campi. Un chirurgo non potrebbe operare con una specializzazione degli anni trenta. Ma neanche un ingegnere o un avvocato! E Felipe Massa non potrebbe gareggiare, oggi, con la macchina di Nuvolari! Indubbiamente, è apprezzabile il fatto che computer e lavagne interattive stiano entrando nella nostra scuola, ma, se è vero che il mezzo è il messaggio, se a monte non c’è una professionalità avanzata, avremo una Ferrari guidata come se fosse una Topolino del ’36!
Nel caso della scuola, o meglio di un Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione, che è altra cosa rispetto alla scuola in senso stretto, possiamo dire che il didatta pedagogo il suo compito lo ha svolto egregiamente, e continua a svolgerlo! Ma non solo non viene ascoltato, ma viene anche accusato di colpe non sue! Continuate pure a sparare sul didatta, ma questi non sarà mai vittima della sindrome di Cassandra!
E la scuola continuerà a bocciare con la gioia di tutti i “migliori”!
Roma, 25 luglio 2009
Maurizio Tiriticco polemizza, da ultimo, con il Ricolfi di “La scuola ha smesso di insegnare”
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