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“La sindrome del maschio”, di Chiara Saraceno

“Non sono un santo”, ha dichiarato Berlusconi, meritandosi i titoli di apertura di tutti i giornali. È davvero una ammissione di colpevolezza, una assunzione di responsabilità rispetto al pericolo serio in cui ha messo la sicurezza dello stato con i suoi comportamenti a dir poco sventati, e rispetto alle menzogne profuse con generosità al paese?

Persino gli ambienti della Santa Sede sembrano aver accolto con benevolo favore questa ammissione, mostrando ancora una volta quanta real politik ci sia nell’atteggiamento della gerarchia cattolica nei confronti dei politici italiani. Pronta a chiudere non uno, ma due occhi di fronte alle nefandezze comportamentali, purché (verrebbe da dire, in cambio) sia assicurato il mantenimento e l’approvazione delle norme che le stanno a cuore, anche se contro il principio di sovranità dello stato e di rispetto della libertà dei cittadini. Viceversa pronta ad attaccare violentemente i politici, specie se cattolici, che tentano di trovare ragionevoli equilibri normativi tra le diverse opzioni valoriali. Ne sanno qualche cosa Prodi e Bindi.

In realtà a me sembra che, con la solita furbizia e tempismo, Berlusconi abbia semplicemente detto, strizzando l’occhio alla platea di cittadini maschi, ma anche di un bel po’ di donne: sono uno come voi, solo più fortunato e più potente. Sono un “maschio vero”, e per questo potenzialmente incontenibile e incontinente. A differenza di voi, mi posso permettere tutte le donne giovani e carine (e
disponibili) che voglio, perché le posso pagare sia direttamente sia utilizzando risorse pubbliche (posti di lavoro, candidature in parlamento, ministeri). Per questo ci sono schiere di “belle figliole”, anche non necessariamente già professioniste del ramo, disposte ad accettare un mio invito, anche con il consenso dei genitori.

Questo tipo specifico di “non santità”, in effetti, è la realizzazione dei sogni più o meno inconfessati molti maschi italiani (anche russi, a leggere la Komsomolskaia Pravda) – a prescindere dal colore politico. E lusinga tutte quelle donne giovani e meno giovani che perdono la testa per gli uomini forti e potenti. E sono disponibili, come le mamme degli stupratori, a trovare loro ogni tipo di scusante, compresa la cattiveria femminile. O le donne che, più cinicamente, hanno deciso di fare del proprio corpo e della propria sessualità il proprio strumento di lavoro, o di accesso al lavoro, in una società dove abbondano i maschi guardoni e segretamente mandrilli. Una società che sembra avere della sessualità una concezione sfruttatoria, coattiva e ripetitiva, svincolata da ogni dimensione relazionale, mortalmente triste. Molte donne italiane sono soffocate e umiliate da questa situazione e si ribellano. Ma non si sentono uomini ribellarsi a questa immagine della maschilità e dei rapporti uomo-donna che suggerisce.

E’ questa complicità sotterranea di una parte grande della società italiana che permette a Berlusconi la sfrontatezza che conosciamo e a cui si è rivolto con quella banale, ma furba, ammissione. Una complicità, verrebbe da dire, a tutto campo, che riguarda le sue imprese sessuali con corollario di scambio sesso-potere, ma anche i vari conflitti di interesse e le imprese finanziarie non sempre limpide. Del resto, che cosa ci si può aspettare in un paese che approva solennemente codici etici quando basterebbe fare rispettare il codice civile e penale? Ovvero dove non imbrogliare assurge a dimensione etica alta e non è il normale atteggiamento che ci si deve attendere nei rapporti commerciali e non? Se Berlusconi è un problema per la nostra democrazia, lo è ancora di più la complicità di larga parte della società civile, con il benevolo silenzio-assenso della gerarchia cattolica.

La Repubblica, 24 luglio 2009

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