Vikas Kumar ha 32 anni compiuti da poco, una laurea in Economia e un master a Dehli, un PhD (l’equivalente di un nostro dottorato) a St. Louis. E ha, o meglio aveva, un contratto in Bocconi. Un posto che in moltissimi sognano e a cui Vikas ha rinunciato, dopo 4 anni di più che onorato servizio nelle aule dell’università milanese. Tra l’entusiasmo degli esordi e la disillusione dell’addio, i mesi di attesa per un permesso di soggiorno che non arriva mai.
A raccontare la storia di Vikas è Lorenzo Peccati, prorettore per le risorse umane della Bocconi. «Kumar è arrivato da noi quasi 5 anni fa, con un ruolo di assistant professor (ricercatore a tempo determinato). L’avevamo scelto sul Job Market, un appuntamento annuale dove i migliori «cervelli » vengono selezionati a livello internazionale; gli abbiamo offerto un contratto di 6 anni, tra i benefit c’era la possibilità di un anno sabbatico, mantenendo stipendio e fondi di ricerca, da trascorrere in qualunque ateneo del mondo».
È l’estate 2008: Kumar, che ha già rinnovato una volta il permesso di soggiorno (da 2 anni, allora il massimo per un contratto di quel tipo), decide di sfruttare l’occasione. «E siccome è bravo, viene accettato a Stanford. Sarebbe dovuto rientrare alla fine di quest’estate».
Ma il visto, nel frattempo, è scaduto.
Da molti mesi. Nel corso dei quali la Bocconi non è stata con le mani in mano: «Grazie al decreto legge uscito a gennaio 2008, docenti e ricercatori stranieri ora possono ottenere un permesso che copra tutta la durata del contratto. Ma l’ente che li assume deve iscriversi a un albo istituzionale, per poi avviare la procedura. Ebbene, l’albo è comparso sul sito del Ministero dopo 9 mesi.
E fino ad oggi non sono risultati disponibili i moduli necessari». Morale (mesta) della favola: «Vikas chiedeva notizie, e noi non potevamo far altro che rispondergli: ci stiamo lavorando… Penso che a un certo punto abbia fatto due più due. Poco tempo fa è arrivata una lettera molto gentile, con cui rende noto di avere accettato l’offerta dell’università di Sydney».
Una storia tra le tante, almeno stando all’indagine che la Fondazione Rodolfo DeBenedetti ha dedicato agli studenti stranieri di dottorato in Italia. Ce ne sono tremila, e il 77% viene da Paesi extraeuropei. Arrivano richiamati dalla «buona reputazione della ricerca» in Italia (43%), dalla disponibilità di una borsa di studio (il 54% dei non-Ue). E lottano, ogni giorno, con la nostra burocrazia: per il permesso di soggiorno, uno studente su 5 aspetta più di un anno. E per avere un appuntamento in questura il 77% deve attendere oltre un mese. Con relative difficoltà nel viaggiare — che siano conferenze all’estero o vacanze in famiglia — per uno su 4. E costi non indifferenti: tra i 50 e i 200 euro, così dichiara il 68% degli intervistati. «Sono in Italia dal 2006 e ho già fatto due rinnovi», conferma Mark Dincecco, ricercatore all’Imt di Lucca, coetaneo di Vikas e californiano. «Per chi ha il passaporto americano la situazione è meno grave, ma la sensazione di insicurezza c’è lo stesso. A ottobre 2007, per il primo rinnovo, ho aspettato quasi 10 mesi: il nuovo permesso è arrivato a luglio, e in settembre era già scaduto. In questura la risposta era, invariabilmente, ‘a Roma è tutto bloccato’. Chissà che significa…
». A settembre, l’indagine della Fondazione sarà presentata in Bocconi, «a un convegno cui interverrà anche il ministro Gelmini — anticipa l’economista Tito Boeri —, con una sessione su brain drain e brain gain ». Fuga e attrazione di cervelli. «Perché non solo ne arrivano pochi, ma quei pochi facciamo anche fatica a trattenerli. E ogni studente è un investimento importante: un dottorando costa, in media, 200-250 mila euro all’anno». Peccati conferma: «Bisogna pagare i docenti che vanno al Job Market, poi si invitano qui a spese nostre i candidati, e per chi viene preso c’è, di base, uno stipendio superiore a quello di ingresso di un associato». Anche per questo la Bocconi, insieme ad Assolombarda, ha deciso di sedersi a un tavolo con Comune, Questura, Prefettura, per lavorare a uno snellimento delle procedure. «La legge c’è: vogliamo solo poterla usare».
Sul sito della Bocconi, alla pagina personale di Vikas, è indicata la sua «area di interesse scientifico»: strategie di internazionalizzazione. Non occorre andare a cercarlo in Australia per capire che, tra tutte le tattiche possibili, quella seguita finora dall’Italia è decisamente sbagliata.
Il Corriere della Sera, 24 luglio 2009