Molti di noi si sono sentiti rassicurati dalla notizia che quest’anno 15.000 studenti, 3000 in più rispetto allo scorso anno, sono stati bocciati alla maturità.
È finita, hanno pensato, l’epoca di una rete di scuola superiore dalle maglie troppo larghe, che manda all’Università studenti impreparati.
Ragazzi destinati comunque ad arenarsi nel percorso di studio. Una scuola che immette nel mondo del lavoro giovani che saranno comunque rifiutati. Altri hanno visto nella bocciatura un «giro di vite», come ha scritto Marco Rossi-Doria in un intervento su La Stampa che per molti altri aspetti condivido. Oppure, ancora, c’è chi ha parlato di segnale educativo forte, «chi non si impegna fino all’ultimo, fallisce, e non ci sono eccezioni né deroghe per nessuno».
Io non la penso così. Io sono convinto che il fallimento, o la «sconfitta finale», se vogliamo, non sia dei ragazzi bocciati, ma della scuola, intesa come sistema formativo ed educativo nel suo insieme. Credo che non dovrebbe succedere che solo alla fine della fase fondamentale del cammino scolastico ci si renda conto che uno studente non è idoneo a proseguire, o ad accedere a una professione. Penso che sia un segnale preoccupante, che può indicare che la nostra scuola non è in grado di capire e interessare i nostri ragazzi, e deve ricorrere a strumenti di autoritarismo obsoleto per stimolare un percorso di crescita.
L’istruzione è un diritto-dovere sancito dalla nostra Costituzione, ma il suo obiettivo è formare dei cittadini, non trasferire una cultura nozionistica e poi misurarla rigidamente. La scuola dovrebbe essere l’ambiente privilegiato per motivare i giovani alla vita e fornire loro gli antidoti contro le fughe dalla realtà e il rifiuto del mondo adulto. Dovrebbe essere luogo di studio, certo, ma anche di sport, musica, teatro, laboratori scientifici e sperimentazioni culturali.
In scienza, per parlare di un settore che conosco profondamente, la scuola dovrebbe essere in grado di stimolare la curiosità e la creatività. Nel mondo di domani, ciò che conterà non sono gli strumenti di cui disporremo, ma le idee che avremo, vale a dire la capacità innovativa e creativa. Due doti che la scuola attualmente non incentiva e non valuta. Sono convinto che la punizione (quale di fatto è la bocciatura alla maturità) non serva alla maturazione di un diciottenne. Servirebbe invece che la scuola fosse un luogo di formazione di una coscienza individuale, ruolo oggi giocato prevalentemente dalla tv e da Internet. Senza coscienza personale non c’è libertà di pensiero e senza libertà non c’è creatività e non c’è innovazione. Non stupiamoci più di tanto allora, se i giovanissimi bevono alcol, fumano sigarette e spinelli, insomma cercano evasioni e trasgressioni. Cosa proponiamo noi adulti di più interessante? Solo punizioni e divieti che li allontanano sempre più da noi, senza riempire in alcun modo il vuoto che ci separa. Sono convinto che ciò che farebbe bene ai nostri ragazzi, bocciati o promossi, sono segnali forti di fiducia.
Dare fiducia ai giovani non vuol dire abolire ogni regola e non stabilire un perimetro alla loro libertà. Vuol dire invece aiutarli perché sempre più autonomamente si costruiscano un set di valori su cui basare solidamente quelle regole e quei confini. Personalmente non faccio alcuno sforzo a comportarmi così e neppure fingerei «per il loro bene». Amo profondamente i nostri ragazzi e ritengo che la nuova generazione sia straordinaria per intelligenza, apertura mentale, ricchezza di ideali e generosità. Non scoraggiamoli.
La Stampa, 22 luglio 2009
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