Ha ragione, ma solo a metà, Rita Clementi, 47 anni, genetista di gran vaglia, quando lamenta – nella lettera aperta indirizzata dallE pagine del Corriere della Sera lo scorso lunedì 29 giugno al Presidente delle Repubblica, con cui annuncia di voler lasciare l’Italia – la scarsa capacità di riconoscere il merito del nostro sistema di ricerca.
Ha ragione perché un paese che fa a meno di una scienziata brava come lei è un paese con una pericolosa tendenza all’autolesionismo. Ha ragione perché in molti settori della nostra ricerca pubblica il merito e persino l’eccellenza non vengono riconosciuti, a causa di una malcelata tendenza nepotista.
Ma ha ragione a metà, perché l’accusa non può essere generalizzata. In molti settori della ricerca pubblica l’eccellenza e il merito vengono prodotti e riconosciuti. Non è un caso che, nelle classifiche internazionali sulla produttività e sulla qualità scientifica, i nostri matematici e i nostri fisici – per esempio – risultino tra i più bravi al mondo. Che i nostri giovani ricercatori risultino tra gli europei più creativi scientificamente (sono secondi in assoluto e primi in termini relativi nel progetto IDEAS del Consiglio europeo delle ricerche) sia tra gli europei più richiesti negli Stati Uniti. Non è un caso che – nelle classifiche dell’OCSE – i nostri ricercatori risultino i più produttivi al mondo, dopo i colleghi svizzeri e che la qualità del loro lavoro sia comunque superiore alla media europea. Malgrado le molte lacune, il sistema pubblico di ricerca resta uno dei settori più competitivi a livello internazionale di cui può far vanto l’Italia.
Il problema più grave – il problema strutturale – del nostro sistema di ricerca non è che i laboratori sono pieni di fannulloni raccomandati che tolgono il posto ai bravi – come vorrebbero farci credere Brunetta e alcuni più o meno illustri suoi corifei. Il problema del sistema italiano di ricerca è che è toppo povero e toglie il lavoro a tutti: geni, bravi e mediocri. Il problema è che il nostro paese pensa da quarant’anni di poter perseguire uno «sviluppo senza ricerca». Il governo Berlusconi sta nettamente aggravando la situazione, spingendo fuori non solo persone eccellenti come Rita Clementi, ma tutti i giovani: in massa.
La riprova? L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), un istituto pubblico di ricerca che dipende dal Ministero dell’Ambiente, non rinnovava il contratto in scadenza a 200 giovani precari. Stessa sorte toccherà entro settembre ad altri 230 giovani in scadenza di contratto. In pratica l’ISPRA rinuncia quasi alla metà della sua capacità di ricerca. E poiché le cose vanno in modo analogo in altri Enti pubblici e nell’università, è chiaro che gli scienziati italiani vanno via non perché la ricerca è malata, ma perché la ricerca è tagliata.
L’Unità 18.07.09
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