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“Scienza, imprese, turismo. L’Italia che non ti aspetti”, di Giangiacomo Schiavi

Made in Italy, si dice. Ma si può chiamare anche così: qualità, tradizione, storia, fantasia, arte, creatività. Vale molto nel mercato globale l’etichetta di un Paese che riesce a dare il meglio nei momenti difficili, ma forse non conta abbastanza in un Paese che appare (troppo spesso) scontento di sé. Eppure c’è un Italia che colleziona primati e produce talenti, un Italia che va, che resiste, un’Italia di tante eccellenze non promosse, non raccontate, che si aggiungono a quelle conosciute e abbondantemente segnalate.

Bisognerebbe narrare di più e meglio luoghi e territori dove le bellezze ambientali e l’arte si integrano con la capacità di produrre quelle cose che piacciono al mondo, i tessuti, la moda, il design, l’artigianato sapiente e l’inventiva tecnologica, per imparare a conoscere meglio i segreti del lungo miracolo italiano, quello che ha resistito alla sfida cinese e oggi combatte con la crisi mondiale. E ci vorrebbe un altro Fai, oltre a quello benemerito che ha ridato splendore al patrimonio artistico dimenticato dimostrando che ambiente e cultura sono anche una risorsa economica, per dare maggior valore al sistema Italia. Un sistema diffuso che ha il suo cuore nell’impresa capace di mettere insieme le antiche sapienze con le intuizioni vincenti della modernità, che affronta con disincanto le nuove sfide lasciandosi alle spalle le guerre tra lobby e il vizio antico della politicizzazione. È lungo e impossibile l’elenco dei punti di forza di un Paese dove i talenti individuali e le fortune dei protagonisti di successo non sempre fanno da traino ad una migliore immagine del Paese stesso.

Ma non è una loro colpa: siamo noi, quasi sempre, a non avere il senso di certi valori, di straordinari tesori da sfruttare. E questo rimane un gap, tra noi e gli altri competitori, capaci di tutelare e vendere meglio i loro prodotti. Ma è anche vero che molti autogol che danneggiano il made in Italy sono il frutto di colpevoli assenze o dimenticanze della classe politica: spreco di risorse, capolavori artistici abbandonati, bellezze naturali contaminate da un’edilizia selvaggia, mancanza di regole e di controlli, risorse limitate per la ricerca, mancate aperture di credito per i settori innovativi. Forse bisogna aggiungere anche mancanza di coraggio: il coraggio di puntare di più sulla tipicità italiana, quella che resta un’indiscussa primazia nel mondo: con il suo valore culturale e industriale e con un indotto economico di tutto rispetto, sia quando riguarda il patrimonio artistico-ambientale sia quando riunisce la sapienza della bottega artigiana alla genialità imprenditoriale.. Ci facciamo del male da soli quando non sappiamo riconoscere il meglio che ci distingue all’estero e che l’estero apprezza: e questo vale per la musica come per la sanità. Ci sono voluti lunghi anni per uscire dall’esterofilia nelle cure mediche, per riconoscere che in alcune aree del Paese la sanità è diventata uno dei servizi di punta, un’alta specializzazione che compete ai massimi livelli nel mondo. La nostra storia, la nostra identità nel mondo globalizzato, sono una carta vincente per continuare a puntare in alto, magari con una maggiore consapevolezza delle qualità che in Italia ci sono: non servono fughe in avanti; basta sviluppare e modernizzare molte delle cose che già sappiamo fare.

Il Corriere della Sera, 8 luglio 2009