Si muore per mare. L’immigrazione troppo spesso è tragedia prima degli sbarchi, prima che i migranti debbano affrontare le durezze della loro esistenza lontano dalla patria d’origine.
Si parla tanto del problema della sicurezza, della legalità. Si parla poco o nulla del destino di migliaia persone che mettono in gioco tutto, la propria dignità e la propria vita, e che finiscono per morire in quella striscia di mare che divide l’Africa dall’Europa. Le bocche dell’Occidente troppo spesso sono cucite. Far parlare i numeri drammatici delle statistiche di morte è un modo per far riflettere e infrangere il muro di indifferenza e di silenzio colpevole che circonda il destino di questi uomini e queste donne. Non sono suggestioni «buoniste». Lo dicono dati attendibili resi noti dalla Comunità di sant’Egidio. Nei primi quattro mesi del 2009, i morti nel Canale di Sicilia sono stati 339. In tutto il 2008 erano stati 642. Dal 1988 le morti documentate dalla stampa internazionale sono state 14.661, tra cui si contano 6.327 dispersi. Tanti sono senza nome. Un numero. Non è stato possibile identificarli. I nostri mari, anche se non vogliamo accettarlo, sono impregnati di sangue innocente.
Ci sono tanti modi per destare le coscienze. In occasione della Giornata mondiale del rifugiato 2009 le ACLI, l’Associazione Centro Astalli,la Caritas Italiana, la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Fondazione Migrantes, tutte realtà impegnate direttamente nell’accoglienza dei migranti, hanno organizzato ieri a Roma una veglia ecumenica nella basilica di Santa Maria in Trastevere «in memoria delle vittime dei viaggi verso l’Europa». È il terzo anno. Pregare per questi uomini e queste donne è un modo per «accendere i riflettori» su questo dramma. In quell’occasione sono stati diffusi quei dati. Paradossalmente dicono poco. O meglio, non tutto. Chi sa quanti non ce la fanno nemmeno a raggiungere le coste nordafricane perché muoiono nella lunga traversata del deserto. Sono uomini e donne in fuga dalla fame, dalla guerra, dalle persecuzioni per le quali in molte parti del mondo ancora si muore. Le notizie delle ultime settimane sui respingimenti in mare da parte dell’Italia verso la Libia preoccupano. Non si hanno più notizie di molti migranti che sono stati «accompagnati» – contro le principali norme del diritto internazionale e del mare – in un paese che non garantisce il rispetto dei diritti umani fondamentali. Dimenticare, rimuovere, rassegnarsi alla normalità delle tragedie dell’immigrazione vuole dire lasciare morire ancora una volta le vittime in viaggio verso l’Europa: «le vittime della speranza». «L’accoglienza è doverosa» ribadisce monsignor Vegliò, il nuovo responsabile del Vaticano per i migranti. Non ha le carte in regola questo governo. Si limita ai respingimenti e non onora l’impegno assunto al G8 di destinare lo 0,7 per cento del Prodotto interno lordo a favore dei paesi poveri. Lo denuncia il presidente della Caritas internazionale, cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga: «Il governo Berlusconi nel 2009 ha tagliato del 56 per cento il suo aiuto verso i paesi poveri». Anche questi numeri parlano.
L’Unità, 26 giugno 2009