Dalla magistratura contabile allarme corruzione ed evasione, «una tassa immorale per i cittadini onesti» che conta almeno 160 miliardi. Se recuperati, consentirebbero di ridurre le tasse e abbattere l’enorme debito pubblico.
Un’Italia corrotta e che evade le tasse. Un’altra che ogni anno paga molto oltre il dovuto, per recuperare i 100 miliardi di euro persi con l’evasione, cui se ne aggiungono altri 60, stima prudenziale dell’impatto della corruzione post Tangentopoli nel Belpaese. Risultato: un debito di circa 2.800 euro che grava su ogni italiano, una tassa aggiuntiva idealmente esigibile dal neonato come dall’ottuagenario. L’allarme della Corte dei Conti viene doppiato da quello del governatore di Banca d’Italia, Mario Draghi: la crescita del pil quest’anno calerà del 5%, dice, stima peggiore di quella del governo (-4,3%). «Sempre che non continui a cadere», aggiunge Draghi, per il quale si potrà parlare di crescita solo con «la tenuta dei consumi» e «del mercato del lavoro». Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, avverte: «È la nostra stessa previsione, ma potrebbe andare anche peggio». E Berlusconi riesce solo a commentare: «Serve realismo».
CHI EVADE E CHI CORROMPE
La crisi, certo. Aggravata dalle maldestre misure di contrasto del governo. E appesantita dai fenomeni di evasione e corruzione nell’amministrazione pubblica come freni allo sviluppo e alla riduzione del debito. Fotografia dello stato di salute dei conti pubblici, scattata dal Procuratore generale della Corte dei Conti, Furio Pasqualucci, nella sua requisitoria annuale: «delusa» nel 2008 e nella prima parte del 2009 ogni aspettativa di miglioramento, dice, e questo non può «trovare causa esclusiva nella crisi mondiale». Piuttosto: l’evasione fiscale è «un vero e proprio tesoro – continua – che risolverebbe non pochi problemi consentendo una riduzione del debito e della pressione fiscale, oltre ad un incremento delle spese tale da rilanciare l’economia». Il recupero darebbe un gettito di oltre 100 miliardi l’anno, il 18% del pil, ma l’obiettivo, «che dovrebbe essere considerato naturale», va valutato con «realismo», perché «non può nascondersi un certo scetticismo, quanto meno sulla rapidità» con cui sarà possibile realizzarlo. Pasqualucci dice anche di più, quando ricorda «l’indebolimento dell’apparato sanzionatorio e degli studi di settore, e un’ulteriore freno alle risorse delle agenzie fiscali» operati dal governo Berlusconi. Manca l’intenzione, insomma. E la magistratura contabile per recuperare risorse «ripiega» su altre strade: alienazione del patrimonio pubblico, razionalizzazione della spesa e riforme pensionistiche.
A catena, nella pubblica amministrazione dilaga la corruzione, facilitata da un’«insufficiente azione repressiva», dice sempre Pasqualucci. Il valore del fenomeno è stimato in 50-60 miliardi l’anno, «una tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini onesti». Ma i danni non sono solo economici, il costo non monetizzabile per la collettività si paga con «la distruzione della fiducia nelle istituzioni», con l’ «ostacolare gli investimenti esteri» e in ultima analisi con il «togliere la speranza nel futuro» a imprese e cittadini. Giovani, soprattutto.
Dati del ministero dell’Interno: nel 2008 si sono registrati 3.197 delitti di corruzione con 10.846 denunciati. Nella classifica delle denunce, le prime cinque regioni sono Sicilia (13,07% del totale denunce), Campania (11,46), Puglia (9,44), Calabria (8,19) e Lombardia (9,39). Il Lazio è al settimo posto (6,67). I settori più colpiti sanità, assunzioni, concessione di finanziamenti e appalti, ma non scherzano nemmeno edilizia privata, università, consulenze e smaltimento rifiuti. I sistemi sono gli stessi utilizzati per frodare il fisco: sovrafatturazioni, fatturazioni di operazioni inesistenti e di compensi per presunte consulenze, rimborso di spese elettorali, di viaggio o di rappresentanza.
AUMENTA IL DISAVANZO
Il «percorso di riduzione del disavanzo si è arrestato». Nel 2008 l’indebitamento netto delle p.a. è risalito a 43 miliardi euro, il doppio rispetto al 2007. In percentuale del prodotto si è passati dall’1,5% al 2,7%. L’avanzo primario si è di contro ridotto dal 3,5% al 2,4%. In queste condizioni «il governo ha rinunciato al programma di azzeramento del disavanzo».
L’Unità, 26 giugno 2009