C’è anche lei, fra i nuovi arrivi al Parlamento Europeo, e sarà probabilmente il capogruppo degli euroscettici: bella, bionda, 46 anni, ottimi studi, l’avvocatessa Krisztina Morvai farà la sua figura fra i banchi di Strasburgo. Jobbik, il «Movimento per una migliore Ungheria » che l’ha candidata, s’è conquistato quasi il 15% dei voti e 3 seggi all’Europarlamento principalmente grazie a lei. Ha un solo problema, l’avvocatessa: i suoi rapporti con la comunità ebraica, in Ungheria e nel mondo.
Ultimo esempio, una sua dichiarazione, riportata giorni fa dal quotidiano israeliano Haaretz, e ripresa con indignazione da vari siti di organizzazioni ebraiche: «Sarei contenta se coloro che si definiscono fieri ebrei ungheresi se ne andassero a giocherellare con i loro piccoli peni circoncisi, invece di insultare me».
Era la risposta agli attacchi di Gabor Barat, amministratore di un istituto radiologico di New York, che dicendosi «fiero di essere un emigrato ebreo e ungherese» aveva definito la Morvai «un caso psichiatrico, un mostro » per i suoi discorsi durante la campagna elettorale. La risposta, una sorta di missiva agli ebrei, andava anche più in là: «La gente come voi è abituata a vedere la gente come noi mettersi sull’attenti ogni volta che date sfogo alle vostre flatulenze. Dovreste per cortesia rendervi conto che tutto questo è finito. Abbiamo rialzato la testa e non tollereremo più il vostro tipo di terrore. Ci riprenderemo il nostro Paese». Concetti riecheggiati da Gabor Vona, il presidente di Jobbik, subito dopo le elezioni: «Jobbik non parla solamente, ma tradurrà le parole in azione. L’Ungheria appartiene agli ungheresi».
Le «riflessioni» dell’avvocatessa erano appena rimbalzate fra Budapest e Israele, che già arrivavano le prime reazioni. Il partito della destra moderata ungherese Fidesz (56,3% dei voti) bollava il pensiero della signora come «inconcepibile e antisemitico », e chiedeva delle scuse pubbliche. L’ex ministro degli Esteri Geza Jeszenszky diceva che la Morvai si era «autoesclusa dalla vita pubblica ». Il capo delle comunità ebraiche ungheresi, Gustav Zoltai, dichiarava che commenti simili dovrebbero escludere chiunque li faccia da un ruolo ufficiale nel Parlamento Europeo.
E proprio questo è ora il problema. Perché la Morvai è stata eletta regolarmente, ma già si parla di qualche protesta, almeno simbolica, che la attenderebbe alla prima comparsa in aula. Mentre da Parigi, il presidente del Congresso ebraico europeo, Moshe Kantor, auspica che si condanni «nei termini più forti, l’uso vigliacco e cinico di un linguaggio antisemitico, razzista, e teso a incutere paura, da parte di alcuni candidati all’Europarlamento ».
L’avvocatessa non sembra preoccupata, anzi. Alle accuse di antisemitismo, risponde il bollettino di un sindacato di polizia ungherese: «Nella situazione di oggi, l’antisemitismo non è solo un nostro diritto, ma è dovere di ogni ungherese che ama la propria terra: non ci dobbiamo preparare per la battaglia contro gli ebrei…così come dobbiamo prepararci a una guerra civile fra ungheresi e zingari, fomentata dagli ebrei che si sfregano contenti le mani». Questo sindacato raccoglie circa il 10% dei poliziotti ungheresi. Il direttore del suo bollettino è una donna, Judit Szima, già colonnello della polizia. E candidata alle elezioni europee, con Jobbik.
Il Corriere della Sera, 22 giugno 2009