E’ la prima volta dopo 14 anni ed è il Mezzogiorno ad essere il più colpito. CGIL, la situazione è molto grave, il Governo non minimizzi.
Per la prima volta in 14 anni l’occupazione in Italia cala. Gli occupati nei primi tre mesi dell’anno sono diminuiti di 204mila unità, registrando così un calo dello 0,9% rispetto allo stesso periodo del 2008. A rilevarlo è l’Istat nella rilevazione sullo stato delle ‘forze di lavoro’ per i primi tre mesi del 2009. Il calo degli occupati, fa sapere l’Istituto statistico risente del calo di occupazione di 426mila italiani e dell’aumento di occupazione per 222mila stranieri. A fronte di 204 mila occupati in meno è il Mezzogiorno a pagarne il prezzo più alto, lasciando per strada 114 mila persone. Contestualmente il tasso di disoccupazione cresce, sempre nel primo trimestre, e tocca quota 7,9% (+0,9 punti è l’aumento tendenziale). In questo caso si tratta di 221 mila persone in più in cerca di lavoro: il tasso di senza lavoro è il più alto dal 2005.
La flessione dell’occupazione ha penalizzato soprattutto i giovani a causa anche della mancata riconferma di 154 mila contratti a termine e della perdita di 107 mila collaborazioni. Le persone occupate con meno di 34 anni sono diminuite di 408 mila unità rispetto allo stesso trimestre del 2008. Il tasso di occupazione in questa fascia di età è passata dal 50,4% al 47,9% con una perdita di 2,5%. L’altra faccia della medaglia è l’aumento del mercato del lavoro degli ultra cinquantenni. A causa infatti delle regole più restrittive per andare in pensione di anzianità, gli ultra cinquantenni che lavorano sono 150 mila in più rispetto al primo trimestre dell’anno scorso. Di fatto, quindi, il mercato del lavoro è invecchiato rispetto al primo trimestre del 2008.
Mentre il ministro del Lavoro Sacconi ‘minimizza’ – sostenendo che il dato sulla disoccupazione è “inferiore rispetto a ciò che potevamo temere” e invitando ancora una volta i giovani ad accettare tutti i lavori – la CGIL trova nei dati la conferma di una situazione nota eppur “molto grave per l’occupazione”. Il segretario confederale, responsabile del mercato del lavoro, Fulvio Fammoni rileva come i dati siano paradossalmente già ‘vecchi’. “Sappiamo infatti – dice – che sì è registrato un peggioramento dell’occupazione dopo il primo trimestre e che, soprattutto, registreremo il picco dei problemi sul lavoro tra fine anno e inizio del prossimo”. Il raffronto dell’Istat con i primi tre mesi dello scorso anno, infatti, che registra un incremento del tasso di disoccupazione di un +0,9%, “non dà l’idea – spiega il dirigente sindacale – del peggioramento che si è registrato dalla fine del 2008 e che rendono la situazione ancora più chiara: sono oltre 380.000 gli occupati in meno e cala di 1 punto il tasso di occupazione”.
Nella rilevazione dell’Istituto statistico, inoltre, fa sapere il segretario confederale CGIL, “si confermano le tendenze che avevamo indicato rispetto agli effetti della crisi: è evidente, che proseguirà una crescita degli occupati inferiore a quella dei disoccupati. Ma soprattutto è chiaro che i primi a pagare sono stati i lavoratori non stabili: dipendenti a termine e collaboratori per il 75% giovani fino a 35 anni. Mentre prosegue anche il calo dell’occupazione fra i lavoratori stabili e in entrambi i casi i più colpiti sono i lavoratori a tempo pieno”. Per Fammoni, “oltre i problemi storici del mercato del lavoro italiano (giovani, donne e mezzogiorno) si aggiungono, e in modo significativo, nuove aree di disoccupazione e di povertà. Si tratta dei precari e di lavoratori ex titolari di un lavoro a tempo indeterminato prevalentemente nell’industria, fra i 35 e 54 anni. Ritorna inoltre a crescere, consistentemente e su tutto il territorio nazionale, il numero degli inattivi, in modo gravissimo per il Mezzogiorno: qui si concentrano tutti i fattori negativi richiamati, riproponendo una vera e propria emergenza nazionale”.
Ed è alla luce dell’analisi dei dati Istat che Fammoni contesta il commento del ministro Sacconi: “Mi auguravo, rispetto alla gravità di questi dati, che nessuno avesse il cattivo gusto di minimizzare, ma invece non è così. Si continua a tentare di celare gli effetti della crisi mentre bisognerebbe contemporaneamente parlare di interventi immediati e di riforme per il futuro”. Per questo la CGIL chiede al governo di “adottare azioni per ribaltare queste tendenze”. Ovvero, l’estensione della cassa integrazione ordinaria, soluzioni per quando si esaurirà il periodo di disoccupazione e per chi non ha potuto accedervi, interventi sui massimali degli ammortizzatori, il blocco dei licenziamenti nel Pubblico Impiego (e il caso dei lavoratori Istat è uno dei più preoccupanti)”. Serve, inoltre, far ripartire lo sviluppo, utilizzando la leva fiscale e puntando su investimenti produttivi, qualità e conoscenza. Per questo, conclude Fammoni, “come in tutta Europa servirebbe la massima coesione con le forze sociali. Un confronto che un governo che vuole nascondere la gravità della situazione continua a non attuare”.
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“Ecco la conseguenza di 45 tipi diversi di contratti a termine”, di Alessandro Barbera, da La Stampa
È accaduta la cosa più semplice che potesse accadere: a perdere il lavoro sono stati anzitutto coloro che possono essere mandati via senza dover affrontare alcuna trattativa sindacale». Sui temi del lavoro Luciano Gallino è un conservatore convinto. «Non è scritto nelle leggi della globalizzazione che ci debbano essere 45 tipi di contratti a termine», dice al telefono dalla Svizzera dove si trova con un gruppo di colleghi sociologi. Ma per il professore torinese all’origine di questo aumento della disoccupazione «ci sono ragioni mondiali e ragioni tutte italiane». E su questo punto la pensa come Emma Marcegaglia e Mario Draghi: «Siamo ultimi in Europa per la ricerca, la produttività è ferma a dieci anni fa, l’organizzazione del lavoro è quella degli anni cinquanta».
Professor Gallino, perché così tanti giovani fra i disoccupati?
«La politica del lavoro di questi ultimi anni ha presentato il conto. Sette contratti firmati su dieci erano a tempo determinato. Era prevedibile che, in caso di crisi, a perdere il posto per primi sarebbero stati gli under 35».
Il tasso di disoccupazione però è ancora sotto l’8%. Secondo alcuni entro la fine dell’anno dovrebbe superare addirittura il 10%. Il dato è forse al di sotto delle attese dei più pessimisti?
«Non saprei. Va però sottolineato che la differenza fra noi e altri Paesi, come gli Stati Uniti, è che il nostro tasso di disoccupazione indica solo coloro che cercano attivamente lavoro. E’ probabile che il numero di disoccupati reali sia superiore».
Crede ci sia il rischio di tensioni sociali per il futuro?
«Per il momento, fortunatamente, sembra di no. I Paesi a rischio sono altri: penso alla Francia o agli Stati Uniti».
Secondo lei cosa ci salva da questa eventualità?
«A sostenere i redditi dei più giovani ci sono le famiglie e – non dimentichiamolo – il lavoro nero, che vale il 18% del prodotto interno lordo. Anche quella è una forma di assistenza al reddito. Ma quello è anche, aggiungo, il sintomo di una totale mancanza di diritti. Per di più per chi ne può usufruire, quelli che noi barbaramente chiamiamo “ammortizzatori sociali”, come se si trattasse di un pezzo di un’auto, sono i peggiori d’Europa. Questo è un sistema di tutele deprimente».
Che intende dire?
«Un lavoratore tutelato riceve al massimo il 60% dello stipendio per pochi mesi. E questo provoca sentimenti di ansia e frustrazione. Per avere più fiducia nel futuro ci vorrebbero tutele più lunghe».
Il ministro Sacconi invita i giovani a tenere duro e ad accettare il lavoro che trovano, anche i più umili. E’ d’accordo?
«A mio avviso ciò che il ministro Sacconi auspica avviene già da molto tempo».
Lei punta il dito contro l’eccesso di contratti a termine, ma forse grazie ad essi stiamo evitando una crisi ancora peggiore. Non è così?
«Non sostengo che i contratti a termine debbano sparire, ma 45 tipologie sono francamente troppe. Ce ne dovrebbero essere al massimo 6 o 7. Tutti gli altri contratti dovrebbero essere a tempo indeterminato».
Non c’è invece un problema di eccessiva tutela per chi il lavoro ce l’ha?
«E’ evidente che c’è un problema di riequilibrio delle tutele fra generazioni. Ma la crisi, non va dimenticato, sta colpendo tutti. All’Inps nei primi quattro mesi di quest’anno sono state depositate un milione di domande di sussidi. Questo significa che al netto della crisi i problemi delle imprese sono altri. Ovvero una bassa produttività, poca ricerca, una organizzazione del lavoro vecchia di cinquant’anni. Per risolvere questi problemi la flessibilità del lavoro serve a poco».