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«La presunzione dell’occidente: “Non esiste una civiltà superiore”», di Remo Bodei

L’identità dell’Europa secondo il filosofo è frutto di tante culture diverse. Non possiamo presentarci come un faro esportando i principi di libertà e democrazia. Dobbiamo eliminare l´idea dello straniero come potenziale nemico.

Dalla caduta dell´impero romano l´Europa non ha più conosciuto alcuna forma di unificazione a lungo termine. Essa è costitutivamente la patria della diversità, è fatta di differenze: volerle unificare è assurdo, così come sarebbe ridicolo voler perseguire l´integrazione culturale per ottenere un melting pot analogo quello degli Stati Uniti. C´è invece bisogno, almeno nel presente, di incoraggiare la condivisione di una struttura istituzionale e di un patriottismo costituzionale, in modo che gli stati membri vecchi e nuovi seguano regole intonate ai principi democratici, alla diffusione dei diritti umani e all´adattamento a nuove strutture economiche. L´intera struttura deve venir rafforzata, specialmente per le generazioni europee più giovani, da un sistema educativo teso a creare una cittadinanza europea, la cui ricchezza deve prodursi catalizzando le differenze all´interno di un progetto di crescita condiviso.
Oggi l´Europa – soprattutto alla luce del suo passato coloniale – non può presentarsi semplicemente come un “faro”, esportando i principi di libertà e democrazia. Il suo compito è sposare la domanda di libertà con quella di uguaglianza all´interno dei propri stati, per impedire che la libertà diventi un privilegio in un mondo lacerato dai conflitti, e l´uguaglianza un vuoto slogan ideologico. Se assumiamo il 1989 come data-simbolo, non è solo per la caduta del muro di Berlino, ma anche per il fallimento, magari non definitivo, di un grande progetto storico che voleva diffondere l´uguaglianza fra i cittadini d´Europa. Tale progetto è fallito perché nei paesi socialisti la volontà di raggiungere l´uguaglianza ha finito per produrre una disuguaglianza più grande, ma tale fallimento non può essere la giustificazione per lo sviluppo di modelli di liberalismo cosiddetto “selvaggio”.
Ogni paese europeo ha la propria storia, che deve poter interagire con la storia degli altri. Ogni cittadina e ogni cittadino europeo ha le proprie caratteristiche, che vanno preservate a vari livelli: si può essere europea/o, italiana/o, toscana/o o napoletana/o. L´Unione Europea non deve precludere alcuna forma di attaccamento a patrie locali, alcun localismo, e in alcun modo implica che lo Stato, anello di congiunzione fra comunità locali e Comunità Europea, debba sparire o che l´”identità” venga minata.
In sostanza sono in gioco tre tipi di identità: l´identità “autoreferenziale”, basata sullo schema logico a=a (spagnolo in quanto spagnolo, francese in quanto francese), come se l´identità fosse un fatto di natura. Poi, per contrasto, c´è un´identità che consiste nell´accettare le deformazioni provocate da secoli di oppressioni interne ed esterne, e nell´esaltarle come segni di identità: “Io sono così e ne sono orgoglioso”. Penso ad esempio al caso dell´Unione Sovietica degli anni ‘20 e ‘30, con il suo “culto del proletariato”, e ad alcuni poeti africani e caraibici, come Léopold Sédar Senghor o Aimé Césaire, con la loro idea di négritude: nel dire “sì, voi bianchi avete l´intelligenza, ma noi abbiamo immaginazione e passione” non si sono resi conto che in questo modo svalutavano la loro intelligenza. Infine il terzo tipo, che vede l´identità europea come un work in progress, una fune fatta di fili diversi, che tanto più si rinforza quanto più i fili sono ben intrecciati fra loro.
Questa costruzione che è l´Europa potrà portar beneficio alle relazioni tra le comunità greche e turche di Cipro, al problema degli ungheresi in Transilvania, o dei romeni in Moldavia, e forse, in futuro, dei serbi in Croazia; forse, indirettamente, potrà allentare le tensioni con le popolazioni russe nei paesi baltici. Ma qui vogliamo soprattutto sottolineare che l´ampliamento dell´Europa va inteso sia come una grande opportunità storica, sia come un arduo compito.
L´identità europea – anche in riferimento alle identità degli stati europei – è un´identità in costruzione. Non c´è dubbio che in tutta Europa possiamo ancora trovare storie nascoste, lingue rimaste ai margini e in pericolo, identità rifiutate e culture che rischiano di scomparire. Ma contro tutte le forme di razzismo o di sciovinismo è necessario marcare una distinzione tra il rifiuto di qualsiasi gerarchia fra culture (nel senso che ogni cultura ha la propria dignità) e il tentativo di culture piccole o grandi di rinchiudersi in un´esasperata presunzione di autoctonia. Al contrario, la loro identità dovrebbe definirsi non solo per opposizione, ma anche sulla base di differenze aperte al processo di universalizzazione, all´interazione con altre culture, all´elaborazione di modelli alternativi di appartenenza e di cittadinanza. Per questo è necessario sostenere concetti come quello di métissage di tutta l´umanità, di reciproca fecondazione culturale, e ristabilire le “differenze”, rifiutando la presunzione di un Occidente che si proclama portatore della sola Civiltà degna di questo nome. (…)
Per fortuna la storia umana non si arresta: le culture del mondo si mescolano e rivivono poi in forme nuove e inattese. Non è necessario aspettare il futuro: possiamo (e dobbiamo) agire ora, per rafforzare i legami di amicizia e comprensione reciproca tra le diverse culture. Dobbiamo, se possibile, eliminare l´idea preconcetta dell´estraneo, dello straniero, come potenziale nemico anziché possibile ospite. Noi guardiamo lo straniero con una sorta di strabismo: proprio quando il globalismo spinge verso l´universalismo, nasce un impulso parallelo all´isolamento. Siamo in grado di trovare, oggi, su scala internazionale, forme di “universalismo” ospitale, aperto e non-fondazionalista, pluralistico e costantemente in evoluzione, capace di accogliere culture diverse, rendendone compatibili le differenze senza ghettizzarle?
Una cosa è certa: abbiamo bisogno di promuovere e sviluppare modalità di pensiero in grado di tenere insieme la fune dell´umanità, che tanto più si rinforza quanto più intesse fra loro i fili delle storie particolari. Oggi le idee di “civiltà”, “umanità” e “umanesimo” sono viste con sospetto, accusate come sono di confondere irrimediabilmente l´essenza dell´umanità con quella di una sua forma storica particolare, la giudeo-cristiana. E l´accusa è che il vero universalismo è stato sostituito da un universalismo imposto con secoli di violenza e sfruttamento. La sfida è dura e richiede coraggio su due fronti: da un lato, nella determinazione a considerare le critiche mosse dalle altre culture, ascoltando le loro voci; dall´altro, nella volontà di scrutare il lato in ombra dell´universalismo europeo e occidentale, chiedendoci se e dove sia in errore.
(traduzione dall´originale inglese di Nicoletta Salomon)
La Repubblica

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