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Dichiarazione di voto dell’on. Colaninno sulla Mozione del PD sulla crisi

Signor Presidente, onorevoli deputati, la crisi economica globale ha sconvolto una parte consistente del settore manifatturiero italiano, che rappresenta una parte assai rilevante e strategica del prodotto lordo nazionale, ma ancor di più rappresenta l’ancoraggio insostituibile per il futuro economico dell’Italia. Nonostante da più parti si tenti di avanzare un timido ottimismo, peraltro in una serie di considerazioni e previsioni confuse e contraddittorie, per le piccole e medie imprese, così come per i grandi gruppi, il peggio non è certamente passato.
Non intendo qui riproporre la sequenza numerica delle più autorevoli analisi congiunturali e tendenziali, sia a livello macro che a livello microeconomico, che fotografano perfettamente la severità della situazione. Mi limito a dire che semplicemente non esiste alcuna proiezione significativa che smentisca le nostre preoccupazioni sullo stato dell’economia italiana e del suo divenire nel medio termine. L’ingentissimo calo della produzione industriale, la proiezione della crescita negativa, la contrazione delle vendite estere, l’esplosione della cassa integrazione, la forte contrazione dell’accumulazione del capitale, la decelerazione dei prestiti bancari, la lunga e grave caduta dei consumi costituiscono un quadro estremamente grave cui è seguita una risposta del tutto lacunosa sia in quantità che in qualità.
Se vi è stata indubbiamente una sistemica e generale sottovalutazione dei rischi, non vi è dubbio che oggi non dobbiamo – non dovete – assumere il rischio di una sottovalutazione dell’ampiezza e della profondità della crisi in atto. Il 12 ottobre 2008 è stato evitato il collasso del sistema monetario internazionale e non oso pensare che cosa sarebbe successo del debito sovrano italiano in assenza dell’euro. Ma a marzo i problemi di fondo del sistema finanziario non risultano risolti. Negli attivi delle grandi istituzioni finanziarie esiste una enorme massa di bad asset, certamente congelati ma non estirpati.
Esiste un quadro economico-finanziario internazionale che presenta gravi squilibri e persistenti debolezze. L’unico segnale positivo percepito è un’iniziale rimbalzo dei corsi azionari sui mercati finanziari internazionali, ma è irrilevante rispetto alla distruzione di capitalizzazione avvenuta negli ultimi dieci mesi.
Più aumenta la crisi, dunque, più i suoi effetti retroagiscono sull’economia produttiva e materiale, e di nuovo questa sui mercati finanziari. L’immediata conseguenza – e oggi vera emergenza per le nostre imprese, soprattutto di piccola dimensione – è il peggioramento delle condizioni nella concessione e del merito di credito, soprattutto per le piccole imprese.
Anche il Governatore della Banca d’Italia, nella sua audizione dinanzi alla Commissione finanze della Camera il 17 marzo, ha confermato che il credito delle banche italiane nei confronti delle imprese ha decelerato nettamente, colpendo particolarmente i prestiti alle imprese con meno di 20 addetti e all’industria manifatturiera.
A ciò si aggiunge il fatto che in Italia le imprese sono creditrici, soprattutto le piccole e medie, nei confronti dello Stato per cifre intorno ai 60 miliardi di euro. Oggi ho visto che è andato di moda citare la relazione del presidente della Confindustria e la citerò anch’io: giovedì scorso ha classificato il fenomeno dei crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione come un fenomeno di scandalo e di vergogna nazionale.
La crisi si fa pesantemente sentire anche nei confronti dei distretti industriali, che sono stati e sono tuttora – e francamente penso che siano – la vera ancora di salvezza per il futuro del nostro sistema produttivo, in particolare nella declinazione delle filiere, con la percezione di una grave crisi generalizzata.
Si registra un generale deterioramento di tutti i parametri economici a tutti i livelli distrettuali, dal distretto del tessile di Prato a quello della ceramica di Sassuolo (42 mila dipendenti occupati nel distretto, 4 miliardi di euro di avanzo commerciale della bilancia, 5 mila lavoratori sospesi), dal distretto dell’oreficeria di Valenza, di Vicenza e di Arezzo a quello della occhialeria, della nautica da diporto, al settore del vetro, al conciario, al calzaturiero: è un vero bollettino di guerra.
Ciò è, a mio avviso, doppiamente preoccupante non solo per la situazione che si è venuta a creare ad oggi nel sistema dei distretti produttivi italiani, ma anche e soprattutto per la dinamica che si svilupperà nei prossimi 3-5 anni.
I principali operatori industriali italiani ed europei stanno costruendo i propri piani strategici su assunzioni di budget che prevedono un mercato europeo sostanzialmente stabile o regressivo, un mercato del Brasile in forte crescita, un mercato dell’Asia in forte crescita, un mercato dell’Africa in crescita e un mercato degli Stati Uniti d’America selettivo, sensibile ai prezzi e all’innovazione tecnologica.
Da tutto questo ne deriva che le strategie dell’impresa manifatturiera dei medi e grandi gruppi italiani – e quindi, di conseguenza, l’impatto che questi avranno sul sistema delle filiere e sui distretti italiani – imporranno un cambio di strategia obbligato.
L’orientamento prevalente – e le azioni che verranno messe in campo – sarà quello di essere presenti con propri impianti produttivi su tutti i mercati crescenti per coprirsi dalla condanna di un mercato saturo per molti settori produttivi.
Vi sarà un cambio di strategia nel mercato globale che riguarderà il sistema delle forniture e quindi la necessità di incentivare ed aiutare i distretti e le filiere produttive italiane, un cambio di strategia nella cultura delle risorse umane e un cambio di strategia che peserà meno nelle esportazioni e più sulla presenza del sistema produttivo direttamente con produzione propria sui mercati che sono crescenti.
Vi rendete conto che tutto questo comporterà degli sconvolgimenti nelle strategie e nell’organizzazione aziendale e che avrà un impatto molto pesante sul sistema produttivo italiano? Riteniamo che non è attraverso l’immobilismo o la speranza di essere trascinati dalle ricette degli altri Paesi che si mettono in sicurezza i conti pubblici e l’economia del Paese.
La gravità della recessione impone immediati e pesanti stimoli fiscali per famiglie ed imprese e per questo crediamo che il migliore contributo alla stabilità dei conti pubblici sarebbe quello di far ripartire la crescita economica. Tutto ciò sarebbe possibile solo attraverso una politica economica di comune assunzione di responsabilità di maggioranza e opposizione, che fosse in grado di mettere in campo risorse ben più rilevanti di quelle finora stanziate. Il Fondo monetario internazionale ha parlato di risorse per l’Italia pari a un decimo rispetto al benchmark, al confronto, con altri Paesi europei che hanno stanziato tra il 3, il 4 e il 5 per cento del PIL, contro il nostro 0,2-0,3 per cento.
Ringrazio il Governo per aver accolto, in larga parte, la nostra mozione, tuttavia, riteniamo che fosse utile anche accogliere la parte che riguardava la rimodulazione delle accise per rimettere in equilibrio soprattutto le piccole e medie imprese che si trovano oggi discriminate nel rispetto alle accise che riguardano i consumi di energia. Per questo ribadiamo il forte invito al Governo ad aprire alle misure proposte dal Partito Democratico, non per mettere blasoni a qualcuno, ma per il bene del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

27 maggio 2009

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