Quaranta esperti non riescono a scrivere il testo. L’unico criterio è quello di Tremonti. Hanno tempo fino alla fine del mese, in autunno il confronto.
Quaranta professionisti dell’istruzione da settimane si riuniscono quasi quotidianamente per tirare fuori qualcosa che si possa chiamare «Grande riforma» della scuola. Chi li ha visti al lavoro li ha trovati angosciati e avviliti. Sarà come dice il ministro il primo fatto epocale dopo quella Gentile, ma – come è pacifico – ognuno può dare alle cose il nome che vuole: il nomen, però non fa la res.
Il problema della dotta commissione sta proprio nella filosofia. Un curriculum di tutto rispetto non si può immiserire nella semplice operazione di, toglimi un po’ di matematica, aumenta le scienze, meno latino più inglese. Roba da chirurgia estetica, anche se la Gelmini rivendica un po’ questo criterio. «Pur mantenendo l’impostazione tradizionale – spiega sul Messaggero di ieri – anche nei licei verrà potenziato l’insegnamento della matematica». Il presupposto teorico è res nullius. E per professoroni di didattica e pedagogia, in alcuni casi, è un po’ poco.
I quaranta sono incartati. Sanno che devono completare qualcosa che possa essere chiamata «Riforma della scuola superiore» entro la fine del mese, ma non ne vengono a capo. L’unico presupposto-bibbia resta la Finanziaria di un anno fa di Giulio Tremonti: ridurre le ore, ridurre i professori, ridurre il personale Ata. E di qui accorpare: classi, bambini, portatori di handicap, materie. La più parte delle cose di cui parla il ministro è già uscito ampiamente in bozze, qualche mese fa, ma viale Trastevere ha sempre smentito. Emergeva un ridimensionamento del tutto immotivato del liceo classico, una finta attenzione per gli istituti tecnici – in cui vengono ridotte le ore di laboratorio per cui non è chiaro quale sia il vantaggio – e il liceo musicale-coreutico («legato al canto e alla danza», come ha spiegato il ministro al Messaggero) e quello delle scienze umane. Signori, la riforma delle superiori. «Potenzieremo l’inglese – ha rassicurato la Gelmini -. Alla scuola media le famiglie potranno decidere se avvalersi delle ore dedicate alla seconda lingua per permettere ai loro figlioli di seguire soltanto corsi di Inglese. E al liceo classico ci sarà l’obbligatorietà della lingua inglese per tutti e cinque gli anni di corso». Va ricordato al ministro che sulla progressiva abolizione della seconda lingua alle medie c’è una sentenza del Tar a spiegare che non si può fare. In più, andrebbe contro la direttiva comunitaria che impone lo studio della seconda lingua: le ambasciate e i centri culturali di Francia, Germania e Spagna presenti in Italia da mesi mugugnano davanti a questa prospettiva. Inoltre c’è una domanda semplice semplice da girare al ministro: perché è meglio lo studio di una lingua piuttosto che due? Lo stato primitivo delle conoscenze nostrane lo scontiamo ogni volta che ci rechiamo all’estero, dove ragazzi di sedici anni parlano correntemente tre lingue straniere.
È questo, di grazia, uno svantaggio? Oppure si vuole tagliare per favorire la privatizzazione dell’istruzione a cominciare dalle lingue straniere?
L’Unità del 18 maggio 2009
Pubblicato il 18 Maggio 2009