Alla faccia di quei giornali che si sforzano a tutti i costi di rianimare l’economia gettando benzina virtuale sul fuoco fatuo della ripresa, e che si affannano a sostenere il governo Berlusconi titolando a tutta pagina “un primo anno da grande realizzatore”, l’Italia non mostra alcun segnale di fuoriuscita dalla crisi. Il collasso del Pil nel primo trimestre ai livelli più bassi addirittura dal 1980 conferma che questa è una recessione “a W”. Si registra qualche episodico rimbalzino dai picchi minimi di caduta della crescita, ma si continua a stazionare nell’abisso.
E questo vale non solo per l’Italia, ma per il mondo. Se da un lato si risveglia l’Indice Baltico (che registra l’andamento dei noli sul traffico marittimo mondiale e che ha anticipato con la sua caduta la tempesta perfetta dei mercati globali), dall’altro precipitano per due mesi consecutivi i consumi e le vendite al degtaglio in Usa. Se da un lato si muove qualcosa nell’export dei paesi dell’area Bric, dall’altro lato la Spagna segna la caduta peggiore dell’indice di ricchezza della sua storia, mentre la Germania tocca il record negativo del deficit pubblico mai raggiunto da Weimar in poi.
In questo scenario di contraddizioni, comunque improntato alla negatività del ciclo, l’Italia si conferma purtroppo il caso più drammatico. Prima o poi, magari già dal prossimo autunno, qualche nota positiva, o anche solo meno negativa, toccherà anche questa piccola porzione di mondo. Ma per ora il quadro è preoccupante. Un Pil in discesa del 5,9 per cento fa riflettere. E il premier non può cavarsela, ancora una volta, giocando solo sulle aspettative, ripetendo che “nella crisi il fattore massimo è quello psicologico e per questo nostro compito è infondere fiducia e ottimismo”. Con l’andare del tempo, questa strategia rischia di essere due volte controproducente. Una volta sul piano dell’economia, perché si traduce in galleggiamento e in attesa passiva di una ripresa che non arriva, e che invece andrebbe stimolata attraverso azioni urgenti e interventi incisivi. Una seconda volta sul piano della politica, perché a forza di promettere un futuro più roseo che invece non si verifica si generano delusioni nelle parti sociali e frustrazioni nell’opinione pubblica. E’ anche così, alla lunga, che si consuma e si dissipa la luna di miele tra un imperatore e il suo popolo.
La Repubblica, 15 maggio 2009