C’è quell’Eurobarometro di un mese fa, che altri sondaggi successivi non sembrano scalfire. Dice che l’Europa, in vista delle europee, è sempre meno europea. Lo spettro che aleggia sul 7 giugno prossimo è quello di un’astensione record. Da trent’anni il trend è negativo, man mano che il Parlamento s’ingrossa e che l’Europa politica resta al palo. Ma se nel 2004 a restare a casa era stato il 54 per cento degli elettori, stavolta potrebbe essere addirittura il 66 per cento: due su tre degli aventi diritto al voto. I più restii sono i polacchi: solo il 17 per cento intende recarsi alle urne. Ma neanche i britannici scherzano, con il loro 22 per cento.
Francesi freddi
Hanno messo il muso persino i francesi, loro che dell’Europa hanno fatto da tempo un rovente oggetto di scontro nazionale: più della metà non appare interessata. L’ipotesi globale è pessimista, qualche settimana di campagna elettorale potrebbe invertire la tendenza. Ma il dato la dice lunga sulla stanchezza del progetto comunitario. È corroborato inoltre dalle cifre sull’indice di fiducia nelle principali istituzioni europee: 45 per cento per il Parlamento, 42 per cento per la Commissione, 39 per cento per la Banca centrale, tutte in flessione rispetto ad un anno fa. Clima di crisi, non solo economica.
Ma un Parlamento ci sarà, e potrebbe dar vita ad una legislatura tra le più importanti della sua storia. Soprattutto se verrà approvato il Trattato di Lisbona, dopo che gli irlandesi saranno tornati alle urne per un referendum riparatore, il prossimo autunno. E nel nuovo Parlamento la sinistra europea rischia di essere nettamente minoritaria. Non soffre solo in Italia, la sinistra. Hanno forti reumatismi anche uomini al governo come Gordon Brown e Zapatero, per non parlare della tedesca Spd. Soffrono le pene dell’inferno i socialisti francesi di Martine Aubry, azzannati dai Verdi di Cohn Bendit (10 per cento nelle intenzioni di voto), dal postino fondatore del Nuovo partito anticapitalista Olivier Besancenot (7 per cento), e costretti sulla difensiva dall’invadente Sarkozy, indifferente, quando gli conviene, ai tradizionali confini tra destra e sinistra. È rientrato nei ranghi governativi anche il ministro degli Esteri Bernard Kouchner, che aveva osato esprimere un dubbio: «Non so per chi votare, leggerò i programmi».
Dev’esserseli divorati in una notte, se ieri, lui da sempre socialista con o senza tessera, aveva già scelto: «Voterò l’Ump, la lista condotta da Michel Barnier». Niente di grave, se non fosse che Kouchner, malgrado le sue acrobazie, rimane una delle personalità più popolari nel Paese.
Un po’ dappertutto, ancora una volta, si voterà su logiche nazionali. Pro o contro Berlusconi in Italia, pro o contro Sarkozy in Francia, e così avanti. Ne soffrirà in modo particolare Gordon Brown: il Labour viene accreditato di un 22-23 per cento, mentre i conservatori di David Cameron veleggiano oltre il 40. Anche Zapatero rischia il sorpasso: gli istituti di sondaggio danno i popolari al 40 per cento, e i socialisti non oltre il 37. Quanto al Ps francese, se rimanesse attorno al 25 per cento (contro il 28 di cinque anni fa), sarebbe già un buon risultato, per quanto distanziato di tre o quattro punti dall’Ump. Completamente assorbite dalle peripezie nazionali saranno le europee in Germania, dove in settembre si vota per le politiche, e dove Angela Merkel sta giudiziosamente sferragliando per la riconferma. Anche lì, i sondaggi premiano i conservatori.
L’eccezione
In ultima analisi, l’unico Paese della sfera europea che va verso sinistra è la piccola e lontana Islanda, particolarmente martoriata dalla crisi: si è data un governo laburista, però non fa parte dell’Unione, anche se ha appena fatto atto di candidatura.
Venendo meno la leadership social-liberale (Blair e Zapatero su tutti), hanno perso il loro punto di riferimento anche molti dei partiti socialisti dell’ex est europeo, come gli ungheresi, i polacchi, gli slovacchi. Si prefigura inoltre un rafforzamento delle ali estreme, soprattutto a destra, ancora difficile da quantificare e tradurre in seggi.
Non solo ad est, a dire il vero: promette fuoco e fiamme, in Olanda, il Partito della libertà (PVV) di Geert Wilders, il colorito erede di Pim Fortuyn, che un folle assassinò nel 2002. Fa campagna come un forsennato «per la soppressione del Parlamento di Strasburgo», contro l’ingresso della Turchia, per l’espulsione dall’Unione di Romania e Bulgaria. Ci sono sondaggi che lo collocano al primo posto, davanti ai cristiano-democratici e ai socialisti, oggi insieme al governo.
Per i sondaggi il 66% degli elettori potrebbe decidere di disertare le elezioni europee del 7 giugno. Nel nuovo Parlamento la sinistra potrebbe essere nettamente minoritaria. E non soffre solo in Italia.
L’Unità, 13 maggio 2009