Quando un disegno di legge catalizza opposizioni che vanno dal Pontificio Consiglio per i migranti fino all’Associazione dei partigiani, coinvolgendo trasversalmente organizzazioni di ogni genere – da quelle dei medici fino ai funzionari di Polizia – delle due l’una: o il provvedimento legislativo è sbagliato oppure il governo che lo propone è sommerso da un tale livello di impopolarità che farebbe bene a lasciare il campo.
Poiché – stando anche agli ultimi sondaggi – non è certo questa la situazione nella quale si trova l’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi, è allora assai probabile che sia il disegno di legge sulla sicurezza – ancora in discussione alle Camere – a contenere innovazioni e norme ritenute assai discutibili, se non addirittura sbagliate.
In casi del genere – nient’affatto nuovi – buon senso reclamerebbe il tradizionale «approfondimento».
Il tentativo, cioè, di apportare aggiustamenti e correzioni attraverso il confronto. Il governo, invece, ha deciso di porre la questione di fiducia, perché – come ha onestamente ammesso il ministro Maroni – «ci sono malumori in una parte della maggioranza». Malumori tanto diffusi, evidentemente, da mettere seriamente a rischio l’approvazione del provvedimento, nonostante il largo margine di cui il centrodestra dispone in Parlamento. E così, mettendo da parte l’entusiasmo col quale al Quirinale è stata accolta la notizia dell’ennesimo voto di fiducia (più volte sconsigliato dal Capo dello Stato soprattutto in materia di diritti delle persone) non si può non annotare come la scelta dell’esecutivo abbia prodotto un immediato inasprimento dei toni della polemica, che ha spinto Dario Franceschini a evocare addirittura il ritorno alle leggi razziali (sortita che ha rischiato e rischia di cambiare del tutto il terreno della discussione).
Il tema, naturalmente, è assai delicato. E lo è doppiamente per maggioranza e opposizione, che oltre ad avere il dovere di garantire la serenità dei cittadini, sanno ormai per esperienza che sulla questione-sicurezza si vincono o si perdono le campagne elettorali: e giusto tra un mese gli italiani torneranno alle urne… Secondo i leader del Partito democratico, naturalmente, sarebbe proprio questa circostanza ad aver spinto il Popolo della libertà (sotto la pressione della Lega) a cercare l’accelerazione sulla legge in questione. Falso o vero che sia, quel che è evidente è che il clima di collaborazione e addirittura di «pacificazione» che si era determinato a cavallo tra l’emergenza terremoto e la celebrazione del 25 Aprile, sta finendo di nuovo alle ortiche: con quali vantaggi, e per chi, è difficile da intuire.
Quanto al testo in questione, non c’è dubbio che esso porti – ben marcati – i sigilli della Lega. Dall’introduzione del reato di immigrazione clandestina, passando per il prolungamento fino a sei mesi del tempo di permanenza nei centri di identificazione, per finire alla istituzionalizzazione delle «ronde», quasi tutti gli obiettivi del partito di Umberto Bossi sono ora nero su bianco, pronti a diventare legge. E se un paio delle proposte leghiste sono state accantonate (quelle cosiddette dei medici-spia e dei presidi-spia) lo si deve, per ironia della dialettica politica, più all’intervento di Gianfranco Fini che dell’opposizione. Il testo, comunque, rappresenta un fin troppo evidente «giro di vite» che, se potrà forse piacere alla maggioranza dei cittadini, non è detto serva davvero a garantire maggiore sicurezza e livelli di minore clandestinità tra gli immigrati. Alcune norme (illustrate in dettaglio nelle pagine interne) sembrano anzi fatte apposta per favorire un ancor più diffuso «inabissamento» degli immigrati non ancora regolari.
È una linea pagante, quella della «durezza» proclamata e talvolta praticata? Ad un anno dall’insediamento del governo, l’interrogativo è legittimo. E se le opinioni possono essere assai diverse, sulle cifre – invece – c’è poco da arzigogolare. Se per esempio si assume come parametro quel che è accaduto in questi dodici mesi a Lampedusa, luogo simbolo del dramma immigrazione, qualche dubbio è lecito. Gli sbarchi sono più che raddoppiati e dall’insediamento dell’attuale governo (e sull’isola di una vicesindaco leghista) Lampedusa è diventata un inferno: fughe dal centro di identificazione, incendi nella struttura, immigrati in corteo assieme ai lampedusani e l’isola trasformata in una sorta di Guantanamo, con centinaia e centinaia di carabinieri e poliziotti a pattugliare ogni angolo di strada.
Fare dunque un punto a dodici mesi dall’avvio della «terza era» berlusconiana, sarebbe quanto mai opportuno. La via imboccata con il ritorno ai voti di fiducia (è già annunciato analogo percorso anche per la legge sulle intercettazioni telefoniche) si sta però confermando la meno adatta ad una analisi oggettiva e ad un sereno bilancio di quanto fatto. È un peccato: anche perché non era poi così difficile prevedere ciò che avrebbe determinato.
La Stampa, 7 maggio 2009