Più che le polemiche con l`opposizione, le tensioni che si addensano intorno alle norme sulla sicurezza rivelano un profondo nervosismo nella maggioranza. I contrasti fra Pdl e Lega stanno diventando espliciti, e pesano più delle accuse lanciate dal Pd al governo di riproporre «leggi razziali». Riguardano solo in parte il merito dei provvedimenti, utilizzati piuttosto per stabilire quali siano i rapporti di forza dentro il centrodestra. II tentativo del partito di Umberto Bossi di accelerare i tempi è fallito di fronte alle resistenze del Parlamento. E gli allarmi lanciati ripetutamente dal ministro leghista dell`Interno, Roberto Maroni, sono stati lasciati cadere nel vuoto.
Il rinvio del voto di fiducia a metà della settimana prossima suona come una sconfitta del Carroccio. Il leader della Lega ieri mattina aveva annunciato che oggi sarebbe stata votata la legge. Non solo. Maroni rivelava candidamente che palazzo Chigi aveva deciso di ricorrere alla fiducia per aggirare «i malumori in una parte della maggioranza»: questioni slegate, a suo avviso, dal merito delle misure da prendere; e dava la colpa ai postumi della fusione fra Fi e An e alla formazione delle liste.
La risposta degli alleati è stata dura. E paradossalmente si è registrata proprio nel momento in cui il centrosinistra accusava palazzo Chigi ed il Pdl di essere subalterni a Bossi. In realtà, l`ennesimo braccio di ferro sull`immigrazione clandestina sta dando risultati almeno controversi. Mostra la volontà della componente fedele a Gianfranco Fini, ma non solo, di ridimensionare e frustrare le pretese della Lega:
una strategia nella quale conta la sponda dell`opposizione, ma forse altrettanto l`assenso di Silvio Berlusconi, attento a non regalare a Bossi un eccessivo protagonismo in vista delle europee.
Il risultato di questa competizione è un rinvio che la Lega definisce irresponsabile, perché farebbe uscire dai centri di accoglienza oltre 250 clandestini; e che i lumbard sembrano pronti a sfruttare, additandolo a quella parte dell`elettorato incline ad associare immigrazione e criminalità. Ma è anche una conferma che il partito di Bossi è costretto a segnare il passo di fronte al resto della coalizione; e che fino al 7 giugno il centrodestra è condannato a subire una litigiosità endemica, esasperata da una competizione logorante. Eppure, non è credibile che gli sgarbi reciproci fra alleati sfocino in uno strappo.
Anzi, tutto fa pensare che il senso di responsabilità, se non altro, indurrà a moderare i toni. Le punzecchiature, però, stanno diventando quasi quotidiane. Dilatano la sensazione di una diversità crescente fra Pdl e Lega. E possono alimentare il sospetto di una tentazione berlusconiana inconfessabile: non soltanto quella di ridurre le pretese e lo spazio del partito di Bossi, ma di portare il Pdl a percentuali così alte da farne eventualmente a meno. Quando il ministro Maroni sfoga la propria irritazione sostenendo che alcuni alleati votano contro segretamente «perché non hanno il coraggio di metterci la faccia», sostiene una tesi verosimile; ma lambisce i confini della provocazione. Su questo sfondo, la bocciatura di un trattato, avvenuta ieri mattina alla Camera, può diventare un presagio infausto per il governo.
Il Corriere della Sera, 7 maggio 2009
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