Sia pur di piccola misura e limitando la lettura al solo dato globale dei lavoratori dipendenti, il Partito democratico batte il Popolo delle libertà. Il margine è sottile, dell’1,3% appena (40% contro il 38,7%), uno scarto rispetto alle intenzioni di voto espresse fino a questo punto della campagna da tutto l’elettorato che, stando agli ultimi sondaggi, conferma invece in vantaggio il centro-destra con una distanza di 6-10 punti.
Ma se si divide il mondo del lavoro tra dipendenti privati e pubblici i risultati sono opposti. Il Pd di Walter Veltroni risulta in vantaggio di oltre 6 punti nelle intenzioni di voto espresse da quella parte del campione che rappresenta la minoranza degli “statali”, mentre il risultato si ribalta se si considerano i dipendenti del settore privato; qui è il Pdl davanti per oltre un punto. Insomma, nonostante il crollo di consenso inanellato mese dopo mese dal Governo Prodi dopo aver doppiato la boa del primo anno di attività (si veda il Sole 24 ore del 22 luglio e del 12 agosto 2007; sondaggio Ipsos Pa) il nuovo partito nato dalle ceneri dell’Ulivo e della Margherita sembra resistere nel mondo del lavoro. Dove pure la quota di indecisi resta alta, al 17%. E dove pure, si veda l’analisi di Roberto D’Alimonte, sembra in caduta il consenso espresso dai dipendenti con redditi più bassi.
Dietro il risultato che fotografa la volontà di voto, nel sondaggio Ipr Marketing realizzato per il Sole 24Ore a 36 giorni dal week-end elettorale su un campione di mille lavoratori dipendenti (ha risposto l’88%) emerge poi il dato sorprendente dei flussi. Qui il Pdl risulterebbe fortemente avvantaggiato: l’8% di coloro che si dichiarano pronti a votarlo oggi, nel 2006 aveva scelto un partito del centro-sinistra, mentre solo il 3,8% degli elettori del Pd arriva dai «delusi» del centro-destra. I flussi ci dicono anche che il 15,8% di quanti sono pronti a votare Udc due anni fa misero la croce sul simbolo di Alleanza nazionale, mentre a sinistra il 13% di elettori dell’Ulivo del 2006 ora è pronto barrare la lista della Sinistra Arcobaleno che, nel risultato globale, si colloca al terzo posto con l’8,5% dei consensi. I centristi di Casini intercettano poco dai lavoratori dipendenti che, con il 5% dei consensi, escluderebbero l’Udc dal Senato. Per non dire della altre forze minori: la Destra di Daniela Santanchè al 2,5%, i socialisti di Enrico Boselli all’1,5% e i comunisti di Marco Ferrando all’1 per cento.
Al di là del dibattito sul voto più o meno utile, quello che sembra emergere è un orientamento consolidato anche in questo spicchio del corpo elettorale: con l’attuale legge la sfida è tra due leader e due grandi coalizioni. Una lettura confermata nonostante la «freddezza» dei lavoratori dipendenti nei confronti della politica. Se la loro propensione al voto è pressochè in linea con quella dell’intero elettorato (74,3% contro il 74,8%), solo il 66,2% dei lavoratori si dichiara interessato alla politica o «politicamente impegnato» (contro il 68,4% del totale). E lo scetticismo diventa addirittura macroscopico quando, dall’intenzione di voto reale si passa al quesito sull’ipotetico voto al solo premier: Veltroni resta davanti col 35%, seguito da Berlusconi con il 30% e Casini (davanti a Bertinotti) con il 12 per cento. «La fiducia espressa dai lavoratori dipendenti nel voto diretto al candidato premier – spiega Antonio Noto, direttore di Ipr Marketing – è molto minore di quella espressa per il partito. Qui va registrata una sensazione di diffidenza che è molto forte. Basti considerare che sull’intenzione di voto al partito solo il 2% dichiara una disponibilità a votare un altro partito rispetto a quello scelto, mentre nel caso del voto diretto al leader la scelta di un altro rispetto al preferito arriva al 13%».
Davide Colombo
Chi vince alle urne? Il 52% dice Silvio
Gli addetti ai lavori lo chiamano «indice winner» e lo considerano come una prova di realtà. «Chi vincerà le elezioni politiche?» è la domanda, posta a prescindere dall’intenzione di voto già espressa dall’intervistato. Il popolo del lavoro dipendente non ha dubbi: dalle urne del 13 e 14 aprile uscirà vincente il Pdl di Silvio Berlusconi con il 52,9%, il doppio di quanto va al Pd di Walter Veltroni insieme con l’Idv di Antonio Di Pietro, che si ferma al 26,4%. Relativamente alta la percentuale (15%) di quanti non hanno voluto lanciarsi in un pronostico. Il Cavaliere vincente di questo sondaggio, almeno stando alle attese del campione, fa il paio con la conferma di quel convincimento ormai completamente diffuso che la gara è a due: Udc e Sinistra Arcobaleno, nel “winner test”, non superano infatti la soglia del 4%. E se dalle percezioni passiamo alle volontà , allora val solo la pena ricordare che nell’ultimo sondaggio Ipsos Pa per il Sole 24Ore, pubblicato l’estate scorsa per fotografare il consenso sul primo anno di governo Prodi, oltre la metà dei dipendenti aveva detto di desiderare un sistema bipartitico.
Salari e precarietà temi determinanti
La questione diventa inevitabilmente salariale quando a un lavoratore dipendente si domanda che cosa dovrebbe stare in cima all’agenda politica. Conta quanto c’è in busta paga per affrontare la corsa dei prezzi (soprattutto dei prodotti a consumo più frequente) e conta la sicurezza del posto, quello proprio o quello dei figli, magari laureati ma con in tasca uno dei tanti contratti a termine che offre il nuovo mercato del lavoro. Non sorprende, dunque, se le prime due risposte (al 50% nel quesito che prevedeva più d’una scelta) siano cadute su «aumento dei prezzi/costo della vita» e «disoccupazione/precarietà del lavoro». Segue con il 27% il problema della sicurezza e solo al quarto posto, col 14%, arriva il nodo delle tasse. Va detto che per un lavoratore subordinato il peso del fisco non è percepito con la stessa intensità che prevale tra lavoratori autonomi e imprenditori. Ma anche con questo caveat, resta la distanza nelle priorità di questa parte di elettorato rispetto ai programmi elettorali. Per non parlare di «lotta alla casta», tema tra più ricorrenti sui giornali ma che qui viene indicato come l’ultima delle urgenze del Paese.
ANALISI / Si sposta il consenso dei redditi più bassi
I lavoratori dipendenti sono da molti anni la base elettorale di riferimento dei partiti del centro-sinistra mentre i lavoratori autonomi lo sono per i partiti del centro-destra. Questo è uno dei punti fermi nella analisi del comportamento di voto nel nostro Paese. Non è tanto il livello del reddito a fare la differenza quanto la sua fonte. Chi vive di reddito fisso tende a votare a sinistra, chi percepisce un reddito da lavoro autonomo guarda a destra. Se si votasse oggi dai dati del sondaggio Ipr risulta che il 40 % dei lavoratori dipendenti che hanno espresso una preferenza voterebbe per la coalizione il cui leader è Veltroni contro il 38,7 % che voterebbe per la coalizione di Berlusconi. Un vantaggio esiguo che però è molto più consistente tra i lavoratori dipendenti di fascia medio-alta. Il 47 % di loro ha dichiarato di voler votare per Veltroni e solo il 37% per Berlusconi. Per quanto sorprendente possa apparire a chi non è del mestiere il fatto è che all’interno della categoria del lavoro dipendente più si guadagna più piace la sinistra, meno si guadagna più piace la destra. In altri termini I lavoratori dipendenti di fascia medio-bassa sono più simili come comportamento di voto ai lavoratori autonomi. È in questa somiglianza che con ogni probabilità va cercata la spiegazione del calo dei consensi per il centro-sinistra in questo settore dell’elettorato italiano. L’insicurezza sulle proprie prospettive di reddito e di lavoro rende questi elettori più mobili e più sensibili al richiamo e alle promesse della destra.
Il quadro che emerge da questa rilevazione non è buono per il Pd ma non è nemmeno una sorpresa. Prendendo come riferimento i dati del sondaggio Ipsos-Cise del 2006 riportati nella tabella in pagina si vede che una delle ragioni della vittoria dell’Unione nelle elezioni di quell’anno fu dovuto proprio al suo successo tra questa categoria di lavoratori. Il 50 % del totale dei dipendenti pubblici intervistati aveva dichiarato di voler votare per la coalizione di Prodi contro il 26% per Berlusconi. Ma ancora più significativi erano i dati relativi ai dipendenti privati (43% e 29% rispettivamente). Infatti mentre i dipendenti pubblici tendono a essere stabilmente vicini ai partiti di sinistra , i dipendenti privati, e soprattutto quelli delle fasce medio-basse, sono molto più “ballerini”. Nel 2001 avevano votato in maggioranza per i partiti della Cdl e avevano contribuito in maniera rilevante alla sua vittoria. Nel 2006 una parte consistente di loro avevano dato fiducia a Prodi e alla sua coalizione. Una fiducia piena di dubbi come si notava in molte delle risposte del sondaggio di allora.
Oggi le cose sono di nuovo cambiate. Ma il cambiamento era già stato registrato da un altro sondaggio commissionato da questo giornale nell’estate del 2007. Ad appena un anno dal voto che aveva visto la vittoria di Prodi i dubbi del 2006 si erano già trasformati in delusione. Questa tendenza è confermata anche dai dati di questo sondaggio. Tra i dipendenti pubblici il distacco di 26 punti percentuali tra destra e sinistra nel 2006 (50 contro 26 a favore della sinistra) si è ridotto a 6 punti (34 contro 28) tenendo conto delle attuali coalizioni ovvero a 9 punti (45 contro 36) se il confronto si fa tra gli schieramenti come erano due anni fa. I dipendenti pubblici sono meno di sinistra di una volta. E questa è una brutta notizia per il Pd che si somma al dato negativo sui dipendenti privati. Nel sondaggio 2006 l’Unione aveva un vantaggio di 14 punti sulla Cdl. Oggi è la coalizione di Berlusconi ad avere un vantaggio di due punti su quella di Veltroni (34 a 32). Come si è già notato, complessivamente il Pd più Idv conserva un piccolo vantaggio in questa fascia di elettorato, ma è troppo esiguo per ribaltare il notevole svantaggio che ha rispetto al Pdl nell’altra fascia, quella del lavoro autonomo. Questa è la fotografia oggi. Domani si vedrà.
Roberto D’Alimonte
Il Sole 24 Ore, 3 maggio 2009