«Rutelli, Bersani e ieri Rodriguez sulle pagine di Europa si sono soffermati sull’identità del PD e sulle parole – democratici, sinistra – per definire questa identità.
Non è consolante che, a distanza di venti anni dal crollo del Muro di Berlino e di quindici dalla fine del sistema politico italiano della Prima Repubblica, mentre Berlusconi sembra aver consolidato il suo consenso sul piano culturale, elettorale e politico, nel campo riformatore del centrosinistra si rischi di tornare al dibattito sulla “cosa” e sul suo “nome”. E’ certo segno della necessità di una discussione più di fondo nel PD, che non possiamo che fare dopo le elezioni.
Tuttavia poiché la campagna elettorale è in sé una grande occasione di incontro con i cittadini, con gli elettori e con i militanti, mi sento di fare alcune schematiche considerazioni.
La crisi che stiamo attraversando è, certo materialmente ma anche simbolicamente, il segno evidente del fallimento dell’ideologia conservatrice che, da Reagan in poi, ha guidato il mondo: il mercato senza regole come leva della crescita, la centralità della finanza rispetto all’economia reale, l’indebitamento al posto del welfare… Dobbiamo forse sommessamente ricordare che in questa lunga fase di egemonia della destra la “sinistra” ha governato contemporaneamente gli Stati Uniti e la maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea senza essere riuscita ad elaborare e soprattutto a realizzare un’idea diversa della globalizzazione?
Nel mondo oggi si è aperta una speranza, con la vittoria di Obama negli USA. La crisi offre oggettivamente uno spazio per un pensiero nuovo: sui contenuti della crescita, sul rapporto tra beni pubblici e consumi individuali, sulle regole di governance del mercato, sulla qualità della democrazia e della politica su scala nazionale, sovranazionale e globale.
In questo contesto le ragioni per cui abbiamo scelto di fondare il PD sono più forti non più deboli. Tutte le forze progressiste, riformatrici, democratiche hanno di fronte una sfida politica e culturale enorme e non è detto che sappiano dare le risposte adeguate. Non solo in Italia infatti possono risultare più convincenti, anche se non necessariamente più efficaci e giuste, risposte di stampo populista che fanno leva sulle paure, sulla frantumazione sociale e sul corporativismo, sull’impoverimento della democrazia e sul potere dei grandi mezzi di comunicazione.
Se il nodo di fondo è questo, rifugiarsi nelle “parole”, magari alludendo a identità già confezionate, è un esercizio rassicurante, ma inutile. Non ci fa fare passi avanti.
In tanti ancora si aspettano che il PD scelga di navigare nel mare procelloso di oggi e contrasti Berlusconi con una visione e una proposta politica per l’Italia del futuro. Berlusconi è forte ma non invincibile: l’impasto di liberismo, conservatorismo e populismo che ha saputo offrire al Paese, ai ceti più deboli e impauriti così come ai più privilegiati, alla lunga non può risolvere i problemi veri di una grande nazione in cui punte di eccellenza e di dinamismo convivono in maniera sempre più difficile con punte di arretratezza e di mancanza di rigore morale insopportabili. Non è eclettismo tenere insieme solidarietà e sicurezza, oppure valorizzazione del merito e tutela dei diritti, impresa e lavoro, democrazia e rapidità della decisione politica. Il problema è saper dire “come”: nella “cassetta degli attrezzi” del PD ci sono già molte idee (ed esperienze di governo locale). Ci attende però un lavoro di medio periodo: la condizione per farcela è il coraggio di andare avanti lungo la strada dell’innovazione della cultura riformista.»
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Gli articoli di RUTELLI (http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/109777/e_così_il_pd_diventa_la_sinistra ), BERSANI (http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/109839/sinistra_parola_nostra) E RODRIGUEZ (http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/109919/il_partito_democratico_della_sinistra_no )