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L’on. Ghizzoni interviene alla Camera a proposito del colpo di mano contro la legge delega di riordino degli enti di ricerca

«Signor Presidente,

limiterò il mio intervento all’analisi dell’articolo 27, introdotto durante l’esame al Senato e che dovrebbe riguardare la Modifica della legge delega 165 del 2007 in materia di riordino degli enti di ricerca. Ho usato intenzionalmente il condizionale perché in realtà c’è molto di più di una modifica della citata legge delega: l’articolo contiene infatti la evidente volontà di far prevalere la politica sulla libertà della ricerca e di mortificare ab initio la costituenda autonomia statutaria degli enti vigilati dal Miur. C’è infine l’inserimento dei medesimi enti nella disciplina cosiddetta taglia enti prevista dalla famigerata finanziaria estiva di Tremonti, dalla quale fino ad ora sono stati esclusi.
Nel settembre 2007 fu approvata la legge delega sul riordino degli enti pubblici nazionali di ricerca, che ha rappresentato un successo concreto del breve Governo Prodi. Un successo che fu conseguito grazie anche all’apporto di molti contributi migliorativi dell’allora opposizione, tanto che nel voto finale alla Camera UDC e AN si astennero.
Grazie a quel lavoro di condivisione è stata data finalmente attuazione all’autonomia statutaria degli enti di ricerca così come sancito dall’art. 33 della Costituzione, e sono stati recepiti nella legislazione nazionale i principi enunciati nella Carta Europea dei Ricercatori.

Con la legge delega 165 anche agli enti di ricerca è stata quindi riconosciuta la responsabilità di definire autonomamente i loro statuti, cioè le regole più efficaci al loro funzionamento al fine di, come recita l’art.1 della stessa legge, “salvaguardare l’indipendenza e la libera attività di ricerca, volta all’avanzamento della conoscenza, ferma restando la responsabilità del Governo nell’indicazione della missione e di specifici obiettivi di ricerca per ciascun ente”.
Si è quindi provveduto ad estendere l’autonomia, già garantita alle università da una legge approvata vent’anni fa, all’intero sistema della ricerca pubblica, in attuazione della medesima norma costituzionale.
Non posso dilungarmi sullo spirito della legge delega ma credo valga la pena ricordare all’Assemblea che essa traduce in norma il principio secondo il quale la ricerca si “nutre” di libertà, prevedendo che l’organizzazione della ricerca pubblica sia affidata dallo Stato alla responsabilità degli stessi ricercatori e sottratta a incongrue e dannose intromissioni del potere politico.

Dopo il Governo Prodi, la delega è passata all’esecutivo Berlusconi che già nell’estate scorsa, con il disegno legge recante misure urgenti su scuola, università e ricerca presentato dal Ministro Gelmini e approvato dal Consiglio dei ministri il 1 agosto scorso, ha manifestato una diversa interpretazione dell’autonomia degli enti di ricerca.
Si tratta ovviamente di una scelta legittima, tuttavia non così scontata dato il lavoro di condivisione che aveva caratterizzato la discussione dell’iter di approvazione della legge 165, tanto al Senato quanto alla Camera.
In particolare l’art. 12 del disegno di legge prevede modifiche così incisive della 165 tanto da alterarne lo spirito.
Ma dallo scorso agosto il disegno di legge ha atteso invano di essere approvato dal Parlamento poiché il Governo non ha mai chiesto l’avvio dell’iter. Non per disattenzione, al contrario il Governo ha atteso un vettore normativo in grado di assorbire la norma di modifica della legge delega riducendo ai minimi termini lo spazio di discussione parlamentare.
Quale migliore occasione, allora, di un collegato alla finanziaria dal contenuto eterogeneo, già approvato alla Camera e in corso d’esame al Senato? La scelta è così caduta sul provvedimento in parola, l’ennesimo disegno di legge omnibus, che al Senato ha acquisito ben 32 nuovi articoli, tra i quali se ne annovera uno, presentato dal relatore sen. Malan in scorcio di esame in Commissione e “fortemente” ispirato dall’art. 12 del disegno di legge Gelmini.

Nonostante i nobili natali, per l’emendamento del relatore Malan la strada non è spianata poiché in V commissione Bilancio riceve un parere contrario sul testo originario, mentre sulla seconda formulazione il sottosegretario Vegas esprime un parere di semplice contrarietà. Del parere della Commissione di merito invece non v’è poi traccia, poiché l’emendamento mai è approdato alla discussione della VII Commissione, competente per materia.
La proposta di Malan approda comunque al voto in Aula, senza essere accompagnato da alcuna presentazione che ne giustifichi almeno la motivazione e frettolosamente viene approvata.
In questo modo attraverso un emendamento, non discusso nel merito e inserito in un provvedimento di tutt’altra natura, la delega in materia di riordino degli enti di ricerca è stata prorogata e la legge profondamente snaturata.

Fin qui ho raccontato il metodo seguito, certamente discutibile. Ora mi soffermerò brevemente sul merito.
Nell’articolo 27 si assestano un paio di colpi all’autonomia degli enti di ricerca che la delega dovrebbe al contrario sancire. Si prevede infatti che non solo gli statuti ma anche i regolamenti di amministrazione, di finanza e contabilità e del personale, formulati e deliberati dagli enti dovranno essere sottoposti al controllo non solo di legittimità ma persino di merito da parte di ben tre ministeri.
Lo traduco con parole più esplicite: poiché il Governo non si fida degli enti e della loro capacità di organizzazione e di gestione, allora si estende incongruamente e ossessivamente il controllo anche ai regolamenti tecnici interni di funzionamento degli enti.

E poiché il Governo non si fida neppure del Parlamento, la norma cancella anche il previsto parere delle Commissioni parlamentari competenti. Parere che nella legge delega 165 fu inserito durante l’esame alla Camera con un emendamento approvato da tutta la commissione, che accolse l’istanza avanzata da maggioranza e opposizione affinché fosse previsto il parere parlamentare su temi così delicati come gli statuti degli enti pubblici nazionali di ricerca.
La volontà del Governo Berlusconi di snaturare la legge delega viene poi conclamata con la previsione che gli statuti in sede di prima attuazione – vale a dire nella delicata fase di avvio dell’autonomia per gli enti – siano formulati e deliberati dai consigli di amministrazione che sono composti da persone di nomina governativa. Una scelta che sancisce una inopportuna intromissione della politica nella definizione della governance degli enti di ricerca.

La legge delega 165 ancora vigente prevede invece che gli statuti in sede di prima attuazione siano formulati e deliberati dai consigli scientifici, cioè da organi che sono espressione democratica dei ricercatori, integrati da 5 esperti di alto profilo scientifico nominati dal MIUR. Al contrario la nuova norma affida a loro un ruolo residuale poiché potranno esprimere un semplice parere al cda!

Il progetto della Gelmini, contenuto nel citato disegno di legge del 1 agosto, rischia quindi di attuarsi senza approfondimenti, senza discussione, senza alcun confronto. Sono passati solo 18 mesi da quando esaminammo con spirito di condivisione la legge delega nella precedente legislatura, eppure pare trascorso un tempo lunghissimo durante il quale sono state colpite e mortificate le prerogative parlamentari.
Ma l’art. 27 del provvedimento in parola presenta anche un’altra misura, apparentemente non ispirata dal disegno di legge del ministro Gelmini, ma non si può escludere un suggerimento da parte del Tesoro per i presunti effetti di risparmio che dovrebbe conseguire.
In estrema sintesi la norma prevede che gli enti di ricerca che al 31 dicembre 2009 abbiano adottato i decreti legislativi attuativi della delega prevista dalla più volte citata legge 165 siano esonerati dalla disciplina del taglia enti prevista dall’art. 26 del decreto legge 112 del luglio scorso. È bene ricordare che questa norma non ha mai incluso gli enti di ricerca fra quelli passibili di soppressione: anzi, se ne esplicita espressamente l’esclusione senza alcuna ulteriore condizione. Così come ha rilevato il Comitato per la legislazione, questa disposizione sotto il profilo della tecnica normativa fa davvero acqua da tutte le parti, poiché il legislatore invece di novellare l’art. 26 del d.l. 112, come logica avrebbe preteso, ha invece predisposto un una nuova norma.
Ma certamente più grave è il profilo politico della scelta compiuta, tesa a includere gli enti di ricerca nella possibile soppressione degli enti pubblici non economici con dotazione organica inferiore alle 50 unità.
Il governo e la maggioranza dovrebbero avere il coraggio di ammettere apertamente che rispetto a luglio hanno cambiato idea e che ritengono la ricerca scientifica pubblica non il motore dell’innovazione e della crescita del Paese, bensì un ambito della spesa pubblica su cui intervenire per conseguire significativi risparmi.
Il futuro ha bisogno di ricerca: sfiduciando oggi la ricerca pubblica e i suoi ricercatori state purtroppo mortificando il futuro nel Paese.
Per concludere, la genesi e il contenuto dell’art. 27 raccontano che per questo Governo l’invocazione di provvedimenti bipartisan sui temi cruciali per il futuro del Paese, quale la ricerca, non sono che vuoti proclami. E denunciano che l’esecutivo vive con palese fastidio i tempi e i modi previsti dall’esercizio della democrazia. Se nel corso della discussione in Aula la maggioranza e il Governo si limiteranno a dare parere negativo alle nostre proposte emendative, così come è avvenuto in commissione, non potremo che confermare, con amarezza e preoccupazione, questo severo giudizio.»

Intervento alla Camera tenuto nel corso della discussione generale al collegato alla finanziaria “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”
23 aprile 2009

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