Come si misura la povertà e come si identificano i poveri? E’ una questione molto dibattuta non solo dai ricercatori, ma anche dai policy makers. E non vi è un’unica risposta “giusta”. Dipende da quale è il livello di disuguaglianza ritenuto accettabile in un dato contesto.
Compito degli studiosi e dei tecnici è evidenziare le opzioni possibili e mettere a punto gli strumenti adeguati a ciascuna opzione. Compito dei policy makers dovrebbe essere quello di basare le proprie scelte di contrasto alla povertà non su idee precostituite o soggettive su chi siano i poveri, ma di effettuare una scelta sul livello di povertà che ritengono inaccettabile e poi indirizzare i propri strumenti verso coloro che si trovano sotto quel livello. Purtroppo in Italia le cose non vanno così. Si mettono in campo misure frammentate, per lo più di entità irrisoria e soprattutto che mancano il bersaglio. Perché i policy makers non tengono in pressoché nessun conto le evidenze empiriche disponibili. L’ultimo esempio sono stati il bonus fiscale e la social card. Soprattutto la seconda, è stata richiesta da molte meno persone di quanto preventivato, al punto che il finanziamento per essa accantonato verrà dirottato a finanziare altre emergenze. Non perché i poveri manchino in Italia, ma perché le categorie individuate dalla social card includono solo una frazione dei poveri.
Da oggi, volendo, i decisori politici dispongono di uno strumento ancora più preciso per stimare chi, nel nostro paese è sicuramente povero e quindi verso chi vanno prioritariamente dirette le misure di sostegno al reddito. Dopo una lunga gestazione, l’ISTAT ha messo a punto, con la collaborazione di una commissione di esperti, un metodo per misurare la povertà assoluta. Ovvero l’incapacità di acquisire i beni e i servizi che permettono di evitare gravi forme di esclusione sociale: una alimentazione adeguata secondo le indicazioni dell’Istituto nazionale della nutrizione, una abitazione di ampiezza e standard pari a quelli utilizzati dalle ASL per concedere l’abitabilità e dotata degli elettrodomestici di base, la possibilità di far fronte alle spese di base per l’istruzione, i trasporti, il vestiario, la salute e minimi consumi culturali. Si tratta di necessità che accomunano tutti coloro che abitano nel nostro paese, ma che variano a seconda dell’età (e nel caso dell’alimentazione anche del sesso) delle persone: un adolescente ha necessità maggiori di un bambino piccolo e un anziano ha necessità alimentari più basse sia di un adolescente che di un adulto, mentre forse avrà bisogno di scaldarsi di più e avrà più spese mediche. Il costo, infine, del paniere di beni così individuato varia di molto a seconda di dove si vive. Tenuto conto della dinamica dei prezzi a livello territoriale, ad esempio, un anziano che viveva da solo nel 2007 – ultimo anno per cui sono al momento disponibili i dati – aveva bisogno di 631,23 euro per acquistare quel paniere se viveva in un’area metropolitana del nord, di 465,07 se viveva in un’area metropolitana del mezzogiorno, rispettivamente di 560,40 e 415,64 se viveva invece in un piccolo comune del nord o del mezzogiorno.
Questa attenzione sia per la differenziazione dei bisogni pur entro lo stesso paniere di beni essenziali, che per la differenziazione dei costi contribuisce a disegnare una mappa della povertà – assoluta – in parte diversa da quella cui siamo abituati e soprattutto da quella che ispira le scelte del governo. E’ certo maggiore al sud; ma, tenuto conto delle differenze nel costo della vita, le differenze Nord-Sud si riducono rispetto a stime basate su una linea della povertà unica. Chi vive in affitto, pur essendo destinatario di pochissime e avare misure di sostegno, ha più del doppio della probabilità di essere povero di chi vive in proprietà, che viceversa è più spesso oggetto di misure di sostegno. Avere un solo figlio minore (anche sotto i tre anni) comporta un rischio di povertà inferiore alla media. Ma averne tre o più, anche sopra i tre anni, lo aumenta più di tre volte. Mentre essere anziano lo aumenta “solo” di meno di una volta e mezza. Si vede bene quanto sia stata fuori bersaglio una social card dedicata solo agli anziani e ai bambini sotto i tre anni, a prescindere dal numero di fratelli.
Uno strumento prezioso per meglio mettere a fuoco le politiche, che offre anche buone ragioni per differenziare l’entità dei sostegni su base territoriali. Occorrerebbe solo che policy makers locali e nazionali ne tenessero conto.
La Repubblica, 23 aprile 2009