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“Miracoli di San Giulio”, di Massimo Giannini

La crisi è finita, andate in pace. Dopo averci nutrito per mesi con citazioni bibliche, dal Leviatano all’Ecclesiaste, il ministro dell’Economia ora ci avverte che “la paura dell’Apocalisse è passata”. Ce ne rallegriamo. Ma non ci crediamo. Se l’orizzonte è il pianeta Terra, non possiamo non vedere che qualche fioco barlume comincia ad accendersi.

In America l’incubo del collasso della finanza, e in definitiva dell’intero modello turbo-capitalistico dell’ultimo ventennio, sembra scongiurato. I clamorosi profitti di bilancio macinati dalle grandi banche d’affari, cuore pulsante del sistema, dimostrano ancora una volta che il capitalismo uccide e rigenera le sue cellule con velocità sorprendente.

In Cina gli investimenti fissi urbani sono cresciuti del 30%, e Pechino scommette su una crescita dell’8%. In India settori come la siderurgia e il cemento, dopo mesi di calma piatta, mostrano picchi di risveglio. In Russia la produzione industriale a marzo è cresciuta dell’11,1%, e il ministro delle Finanze Kudrin ipotizza una piena ripresa già nel quarto trimestre. Persino in Europa qualcosa si muove: l’indice Euro-Coin che stima la differenza tra la produzione attuale e le aspettative delle imprese tre mesi prima inizia a stabilizzarsi, mentre l’Indice Baltico che registra le variazioni del prezzo di trasporto via mare delle merci, crollato sotto quota 1.000 a dicembre, avvia ora una lenta risalita. Ma com’era sbagliato lasciarsi travolgere dal catastrofismo sei mesi fa, sarebbe altrettanto sbagliato lasciarsi coinvolgere dal trionfalismo oggi. Il realismo di Barack Obama è un valido antidoto: insieme alla paura, che resta, si affaccia qualche speranza. Ma come dice il presidente americano, non siamo affatto usciti dal tunnel, i tempi restano molto difficili, il credito continua a non fluire.

Se poi dal villaggio globale restringiamo l’orizzonte alla piccola Italia, al netto della straordinaria rinascita della Fiat, c’è purtroppo più di una ragione che suggerisce ancora un po’ di sano pessimismo. Come dice Tremonti, nessuno pensa più a un crollo globale della finanza. Questo è sicuramente un bene nell’ottica della psico-patologia della crisi, perché in questa grande tempesta perfetta la prima virtù che è andata sommersa è stata la fiducia. Ma il dramma, per il nostro Paese, riguarda solo marginalmente, e di riflesso, l’economia finanziaria. Il vero nodo è l’economia reale. E’ la recessione e la deflazione, che in Italia mordono più che altrove. Il Prodotto lordo, secondo Ue e Ocse, quest’anno segnerà un meno 4,3%. La produzione industriale a febbraio ha ceduto di schianto, meno 8,1%, il livello più basso dal dopoguerra. La disoccupazione è tornata a salire oltre il 7%, dopo anni di discesa. I consumi rallentano, il reddito diminuisce. E la produttività continua a calare, mentre i Paesi forti di Eurolandia allungano il passo.

Questo è il quadro a tinte fosche dell’economia italiana. E non bastano le pennellate ottimistiche di Berlusconi e Tremonti a ravvivarne i colori. La crisi come opportunità: l’abbiamo scritto più volte. E invece è proprio questo che è mancato e che manca, nell’azione del governo di questi mesi. Un grande progetto. Non solo per sopravvivere in negativo dentro questa palude, fidando nel solito stellone italiano. Ma per uscirne in positivo, confidando nelle risorse migliori, con un Paese diverso, più forte e più moderno. Per fronteggiare la crisi, il contributo delle manovre di bilancio finora è stato pari al 4,8% del Pil negli Stati Uniti, al 3,4% in Germania, all’1,4% in Francia e solo allo 0,3% in Italia. Fa piacere, adesso, sentire che il ministro dell’Economia, di fronte alla tragedia del terremoto in Abruzzo che ci costerà 1 punto e mezzo di Prodotto lordo nei prossimi dieci anni, dichiara che non c’è bisogno di introdurre nuove tasse per la ricostruzione, perché “le risorse pubbliche bastano e avanzano”. Ma se è così, vorremmo sapere dove erano in questi mesi, quando sarebbero servite come il pane. O c’erano già, ma le ha tenute nascoste. O le ha trovate oggi e ha fatto un miracolo.

La Repubblica, 20 aprile 2009