Assunzioni al Nord ed esuberi al Sud. Comincia a delinearsi in maniera abbastanza chiara l’impatto dei tagli agli organici della scuola voluta la scorsa estate dalla coppia Tremonti-Gelmini. Nelle regioni meridionali, complice – ma non troppo – il calo degli alunni, le pochissime classi a tempo pieno alla primaria e edifici scolastici più “sgarrupati” che altrove, salteranno quasi tutte le supplenze annuali conferite quest’anno e parecchi docenti di ruolo saranno costretti al cosiddetto esubero (sovrannumero). Una situazione che rischia di diventare esplosiva, al limite dell’emergenza sociale, perché al Sud le opportunità di lavoro si assottigliano giorno per giorno e il canale della scuola costituisce uno sbocco naturale per migliaia di laureati e diplomati.
Nelle regioni settentrionali, dove gli alunni sono in aumento e il taglio degli organici è stato più clemente, le cose andranno meglio: tra pensionamenti e posti già vacanti le cattedre libere sono parecchie e potranno scattare le assunzioni per il prossimo anno. Per fare il bilancio dei tagli basta guardare i numeri sui pensionamenti, quelli sulle cosiddette cattedre vacanti e i posti che salteranno dal prossimo primo settembre. Se l’esercizio viene svolto singolarmente per le tre realtà territoriali (Nord, Centro e Sud) del Paese viene fuori un interessante quadro: al Nord e al Centro si riusciranno a limitare i danni, al Sud insegnanti e alunni dovranno invece leccarsi le ferite.
Nelle otto regioni meridionali per effetto del taglio di 42 mila posti deliberato dal governo salteranno 20 mila cattedre. I pensionamenti sono poco più di 13 mila e 4 mila sono le cattedre attualmente vacanti. Risultato: precariato azzerato e circa 700 esuberi. Cioè, altrettanti insegnanti di ruolo che si ritroveranno dal prossimo settembre senza cattedra. Per loro si apre un periodo di incertezza: dovranno cercarsi un posto in un’altra scuola o nel frattempo si riuscirà a trovare una soluzione meno traumatica? Il rischio per i malcapitati è di doversi spostare a decine di chilometri di distanza dalla scuola di attuale servizio.
La proposta di alcuni sindacati è quella di lasciarli nelle scuole di appartenenza a disposizione per le supplenze o per i progetti. Nel primo caso fungerebbero da tappabuchi, nel secondo potrebbero contribuire ad allargare l’offerta formativa delle scuole colpite dalla furia riformatrice dell’esecutivo. La situazione, sempre nel meridione, è piuttosto preoccupante all’elementare (primaria) dove bisognerà collocare 1.800 maestre, e nella secondaria di primo grado (l’ex scuola media) con centinaia di prof di Italiano in sovrannumero. Il prossimo anno, trovare una supplenza al Sud potrebbe trasformarsi in un incubo: pochissime cattedre, sedi disponibili disagiate, spezzoni di cattedra e stipendi ridotti all’osso.
Oltrepassando la Capitale la realtà cambia di botto. Nelle 6 regioni settentrionali il taglio farà saltare “appena” 9 mila cattedre. E visto che i pensionamenti sono stati superiori alle 10 mila unità rimarranno un numero di cattedre vacanti superiore a quello di quest’anno: 9 mila e 500 circa. Su questi posti sarà possibile effettuare le assunzioni a tempo indeterminato. Anche le regioni centrali si salvano: 5 mila pensionamenti e taglio di 4 mila posti più di 4 mila posti che potranno essere occupati da precari. Per la scuola dell’infanzia, che non è stata toccata dai tagli, si profilano 5 mila posti vacanti per neoimmessi in ruolo e precari. Le 20 mila immissioni in ruolo promesse ai sindacati qualche settimana fa dovrebbero andate al personale Ata (amministrativo tecnico e ausiliario), per 7 mila unità, al sostegno (altre 7 mila unità), alla scuola dell’infanzia (5 mila posti) e qualcosina al superiore.
La Repubblica, 16 aprile 2009
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