La crisi parla al maschile. Lo dicono gli ultimi dati dell´Istat sull´occupazione, lo confermano i decreti per la cassa integrazione dell´Inps, comincia a raccontarlo anche la cronaca con storie di famiglie nelle quali l´uomo perde il lavoro e la donna, invece, lo trova. È, per così dire, l´aspetto di genere della recessione, guardando soprattutto al mercato del lavoro standard e non al mondo della precarietà, decisamente più sfuggente ai numeri delle statistiche. In questa prospettiva è come se stesse arrivando l´ultimo colpo al nostro modello di welfare state modellato sul maschio, adulto, settentrionale, impiegato per lo più in una grande fabbrica. Anche se poi non c´è un nuovo sistema in costruzione.
Va da sé che la recessione non sta risparmiando le donne, però appaiono meno penalizzate o con più chance soprattutto nei servizi di cura. Tant´è che la Federcasalinghe ha stimato 100 mila posti di lavoro per badanti italiane.
Che resistono lo dice l´Istat nell´ultima rilevazione sulle forze di lavoro, relativa al quarto trimestre del 2008. È da lì che si vede l´arretramento della componente maschile dell´occupazione mentre mantiene (anzi accresce, nonostante gli ultimi mesi del 2008 siano già di crisi) quella femminile. Qui il dato fondamentale è il tasso di occupazione, che indica (nella popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni) quanti lavorano a quanti no. Così l´ultima indagine dell´istituto di statistica parla di un tasso di occupazione maschile diminuito su base annua di otto decimi di punto (-0,8%) portandosi al 69,8%. Con quello femminile, al contrario, aumentato dal 46,9% del quarto trimestre del 2007 al 47,2% (+0,3%).
L´incremento dell´occupazione femminile mantiene comunque l´Italia lontano dagli standard europei. Tuttavia segnala un movimento all´interno del mercato del lavoro, tanto più significativo in una fase di crisi così marcata. Così mentre l´allargamento dell´area della disoccupazione riguarda gli uomini ex occupati (+ 0,8%), tra le donne il tasso di disoccupazione scende dello 0,1%. E i movimenti femminili nel mercato del lavoro non finiscono qui. Perché il part-time, cresciuto in un anno del 2,4% (pari a 61 mila persone) coinvolge la sola componente femminile. Riguarda il terziario, il centro e soprattutto il nord-est.
E che la crisi sia maschia lo si ricava anche dalle tabelle dell´Inps sulla cassa integrazione. Ecco, è lì che si potrebbe vedere che gli imprenditori preferiscono tenersi le donne: nel 2007 (anno non di crisi) il 57,5% delle richieste era per dipendenti donne, percentuale che nell´anno nero del 2008 scende al 55,2. Qualcosa sta cambiano anche se forse è presto per dire che il “fattore D”(come donna) ci porterà fuori dalla crisi.
La Repubblica, 7 aprile 2009