Il mio erede lo sceglierà il Pdl, io mi accontenterò di fare il padre nobile». Non è bastata questa frase di Silvio Berlusconi a rassicurare i colonnelli di Alleanza nazionale. Non è stata sufficiente l`evocazione di un futuro avvicendamento per tranquillizzare gli ex missini. E già, perché il discorso con cui il Cavaliere ha chiuso le prime assise del Popolo delle libertà sono piaciute davvero poco ai big di An. E in particolare a Gianfranco Fini. Inizia così la «difficile coabitazione» nella “casa comune”.
Una “convivenza” di cui il capo del governo e il presidente della Camera hanno provato a prendere atto nei giorni scorsi.
Alla prima prova, però, ne è emersa tutta la complessità. Fini – che aveva concordato con il premier l’assenza di ieri alla Fiera di Roma – non ha infatti apprezzato l`intervento del capo del governo. «Meglio non commentare – ha fatto sapere ai suoi – altrimenti rischiamo di rovinare tutto».
Le parole berlusconiane sono state una «delusione» per l`ex leader di An. Nessun riferimento al testamento biologico, neanche un secondo speso sul referendum elettorale. Nemmeno una «risposta concreta» sul percorso riformatore.
Aspetto, quest`ultimo, che ha più colpito il presidente della Camera. Il quale, al contrario, scommette sulla revisione della seconda parte della Costituzione e sul dialogo con l’opposizione. La mano tesa del premier viene giudicata «fin troppo timida». Stesso discorso per quanto riguarda i tre quesiti elettorali.
«Comprensibile la prudenza con la Lega – è il ragionamento dei finiani – ma almeno un accenno lo poteva fare». Anche sul biotestamento, “l`amico Gianfranco” avrebbe preferito una esplicitazione di quel “patto segreto” a favore di un rinvio a settembre del provvedimento approvato al Senato. «Così insomma – è la sintesi di Fini – non va».
E in effetti, anche nel backstage del padiglione 8, Berlusconi ha fatto ben poco per smentire le impressioni dell`inquilino di Montecitorio. «Ci sono riforme importanti da fare – ha spiegato ai big del Pdl che lo circondavano -. Dobbiamo ammodernare il Paese altrimenti non si esce dalla crisi». Ma il dialogo con il Pd è considerato alla stregua di una chimera: «Abbiamo tanta buona volontà rispetto alla sinistra, ma quelli non fanno altro che mettere paletti. P chiaro che in questa situazione noi faremo le riforme solo coni nostri voti».
Nella «difficile coabitazione» , però, il Cavaliere ha cercato di garantire a Fini il ruolo ufficiale di “numero due”. Nel pranzo di giovedì scorso a Montecitorio, del resto, era stata siglata una sorta di tregua proprio per impedire che la fusione tra Forza Italia e Alleanza nazionale fallisse.
«Senza un`intesa ferrea con Gianfranco – ha spiegatolo stesso Berlusconi a diversi parlamentari forzisti – rischiamo di spaccare il partito». Ed è esattamente la preoccupazione che molti esponenti di Forza ltalia di lungo corso hanno iniziato a coltivare. Un timore basato sulla certezza che a livello locale – e non solo – i dirigenti di Via della Scrofa possono sistematicamente mettere in difficoltà la componente berlusconiana. In questi giorni, ad esempio, è accaduto sulla battaglia per lo statuto del partito. Non è un caso che ancora ieri, il premier abbia ammesso la necessità di una sua «mediazione: io ho sempre fatto il mediatore e dovrò continuare a farlo. Non l`ho fatto prima per non dare l`idea di una incorparazione».
Dentro Forza Italia, però, per molti l`incubo è rovesciato: hanno paura che «l`incorporazione di An» si riveli un boomerang. Uno spettro materializzatosi sabato sera con l`intervento di Giulio Tremonti. Fissato nel calendario congressuale in chiusura di giornata e con la sala semivuota. La «difficile coabitazione», dunque, sta mostrando già tutte le sue spine. Senza contare che i due “conviventi” dovranno fare i conti con il terzo incomodo: la Lega. Il referendum elettorale evocato con forza da Fini è il primo banco di prova.
Non solo. Lo stesso capo del governo riconosce che la nascita del Pdl, se gestita male, può incrinare l`amicizia con il Senatur. «Il rapporto con Umberto, però – ha cercato di chiarire nella saletta dietro il palco – è come sempre. Alcuni dei loro obiettivi sono anche i nastri». Appunto, «alcuni».
Il richiamo al raggiungimento del 51%, però, non rasserena affatto i leghisti. Così come – in modo speculare rispetto ad An – preoccupa la mancata smentita alla convocazione per il 7 giugno del referendum. E forse le spiegazioni fornite nel baskstage ad un gruppo di “maggiorenti” piediellini non hanno rasserenato ne` i leghisti ne` gli aennini: «Oggi ho voluto rivolgermi al popolo. Dobbiamo raggiungere il 51% il prima possibile e per farlo devo parlare a tutti. Questo deve diventare il partito di tutti gli italiani».
La Repubblica, 30 marzo 2009
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