Casal di Principe, in 40mila per don Diana, ucciso dalla camorra nel ‘94. L´appello di don Ciotti.
Casal di Principe – «La Chiesa parli chiaro, contro tutte le mafie. Non faccia sconti a nessuno. Ci vuole fermezza. Denunci l´incompatibilità tra le azioni dei mafiosi e il Vangelo, senza abbassare i toni». Il coraggio di un prete, don Luigi Ciotti, onora ieri il sacrificio di un altro prete, don Peppino Diana, ucciso perché opponeva il rigore del Vangelo alle logiche mafiose dei compaesani.
Era il 19 marzo del 1994. Esattamente quindici anni dopo, il popolo di Libera, l´antimafia dei gesti e della mobilitazione dal basso, si ritrova a Casal di Principe, pochi metri dalla tomba del sacerdote. Un corteo e quasi quarantamila studenti. Clima da raduno. Iniziative concrete: come la nascita della coop “Le terre di don Diana” per la produzione di mozzarelle dop, cui partecipare con un sms di solidarietà, ogni messaggio un euro al 48544. Grazie anche ai fondi della Regione Campania.
Il serpentone di adolescenti invade il cuore di Gomorra, testimonianze degli studenti, scout, i politici restano seduti. Il palco è pieno di bambini e ragazzi, ed è a ridosso del cimitero, lo stesso dov´è sepolto anche Domenico Noviello, imprenditore antiracket assassinato dal gruppo stragista di Giuseppe Setola. Il superkiller è ormai rinchiuso in carcere a mille chilometri, eppure sono ancora latitanti i boss Antonio Iovine e Michele Zagaria che, con l´esercito di silenziosi servitori, governano affari e holding criminali. Contro di loro, continua a schierarsi il padre ottantenne di don Diana. Anche ieri. «I camorristi di Casale? Oggi stanno peggio dei morti – dice Gennaro, contadino – Dopo quel delitto, è iniziata la loro fine».
Dall´enorme poster appeso allo stadio, lo sguardo sorridente di don Diana fissa i ragazzi che scherzano in vari dialetti. Sembra dire: «Quanto ci avete messo?». È un pugno anche lo striscione che apre il corteo: «Sono morti perché noi non siamo stati abbastanza vivi». Parole scritte sopra un mosaico fatto di tantissimi nomi e cognomi, oltre 400, quelli uccisi dalle mafie di Casale o di Napoli, della Sicilia o della Calabria, dal terrorismo, o dalla criminalità predatoria. Don Ciotti parte dalle inaccettabili timidezze che ancora abitano la Chiesa («Caspita, c´erano tre preti al matrimonio di Riina», tuona), ma poi richiama alle responsabilità la società civile, politica, giovani. Alla prima dice: «Non dico proprio grazie a nessuno, era vostro dovere essere qui. Non limitatevi agli eventi: traduceteli in pensieri e in agire quotidiano». Alla politica chiede tre cose: «Coerenza, credibilità, continuità». Ai giovani: «Siate capaci di vivere, invece di lasciarvi vivere».
Stasera, nel Duomo di Napoli, veglia antimafia, cui partecipa anche il leader Pd Dario Franceschini. Domani, per la Quattordicesima giornata nazionale delle vittime innocenti, marcia sul lungomare Caracciolo, nel giorno di primavera.
(la Repubblica, venerdì, 20 marzo 2009)