partito democratico

“Facile dire sinistra del no”, di Michele Serra

Lo stuolo di portavoce del governo, nel rosario quotidiano dei telegiornali, spende spesso e volentieri la definizione “sinistra del no” (molto trendy anche su svariati quotidiani). Nel mazzo sfiorito di questi “no” seriali, che sarebbero la prova provata della sterilità intellettuale dell’opposizione, sono finite anche le dure critiche al cosiddetto “piano casa”, che a una parte consistente dell’opinione pubblica appare come la deregulation della già sregolatissima cultura edilizia di uno dei Paesi più (mal) cementificati del mondo.

Come altre formule “pop” della destra di governo, lo slogan “sinistra del no” è semplice e funzionale: attribuisce all’opposizione una sorta di malumore preconcetto; e al governo un’alacre attivismo. Peso morto da una parte, motore virtuoso dall’altra. Il cliché rientra nel “normale” fastidio che questa maggioranza coltiva nei confronti dell’opposizione e delle sue prerogative. Ma c’è, specie in un caso come questo, strutturale per il futuro di tutti, un’aggravante sostanziale. L’aggravante è questa: che il merito delle questioni scompare. Si fissano (o si rifissano) le parti in commedia, quella dell’operoso Berlusconi e quella dei suoi neghittosi osteggiatori, e si evita accuratamente di parlare delle scelte concrete, delle loro conseguenze, dei pro e dei contro.

Un “no”, isolato dal suo contesto, non ha senso. Ogni “no” (esattamente come ogni “sì”) può essere giusto o sbagliato, motivato o pretestuoso, sciocco o intelligente, solo in misura della proposta o dell’evento che lo ha suscitato. Dire “sinistra del no” equivale a decontestualizzare ogni idea, ogni parola, nascondendola dietro un siparietto propagandistico uguale e contrario a quello assegnato al premier, ormai da quindici anni (tre piani quinquennali) sulla scena come fattivo e generoso artefice della rinascita nazionale.


La scomparsa del merito, della dimensione concreta dei problemi, non è solo uno dei morbi più velenosi e ottundenti della scena pubblica italiana. Sta diventando uno degli elementi fondanti dell’egemonia berlusconiana. L’aspetto psicologico, emotivo e dunque televisivo e spettacolare della politica ruba la scena alla discussione razionale. Un capo che sorride e ha nel cuore le sorti del popolo contro un’opposizione frustrata e invidiosa: questo è il plot che la gragnuola delle dichiarazioni da telegiornale, molti talk-show, molti titoli strillati hanno confezionato e consolidato.

Quando si tratti, poi, di decidere se è giusto o ingiusto dare corso legale a centinaia di migliaia di piccoli abusi edilizi, favorire l’iniziativa privata magari a scapito di interessi collettivi nevralgici come l’integrità del paesaggio (quel che ne resta), ri-condonare di fatto l’attitudine anarchica che molti italiani scaricano sul territorio, allora ci si accorge che si deve risalire la china della caricatura propagandistica costruita in anni di sapiente semplificazione dei problemi. Se dico ancora “no”, è costretta a chiedersi “la sinistra del no”, faccio la solita figura del livido guastafeste? Mi si nota di più se dico “no” o se resto in disparte e non dico niente? E non sarà più simpatico dire “sì”, in modo che il pubblico capisca che so variare il copione?
Si noti come le precedenti domande non abbiano niente, ma proprio niente a che fare con la sostanza delle questioni politiche in generale, e con il “piano casa” nello specifico. Una delle poche frecce rimaste nell’arco dell’opposizione è proprio questa: azzerare questo ricatto psicologico, ignorare le freddure sulla “sinistra del no”, procedere come se si vivesse e si facesse politica in una Paese in cui i “no” e i “sì” si pronunciano solo in rapporto a quanto accade, non in rapporto a quanto sta scritto in un copione mediatico scritto, per giunta, da altri.

La Repubblica, 10 marzo 2009

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