«L´unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura in quanto tale». Difficile non riconoscerci in queste parole pronunciate nel 1933 da Franklin Delano Roosevelt, nel suo discorso d´investitura, nel pieno della Grande Depressione. Quella che attraversiamo è una crisi di sfiducia.
È iniziata con le banche che non si fidavano più le une delle altre e che quindi non si prestavano più soldi e si è estesa all´economia reale, ai posti di lavoro, con le imprese che rinviano investimenti e le famiglie che posticipano piani d´acquisto in attesa di capire di più su ciò che sta accadendo. Null´altro può spiegare l´incredibile accelerazione della crisi negli ultimi tre mesi. È un comportamento perfettamente comprensibile da parte di ciascuno di noi. Viene addirittura consigliato nelle business schools: bene rinviare tutte le scelte che si possono posticipare in questi casi, in attesa di acquisire nuove informazioni. Ma generalizzato a milioni, meglio miliardi, di individui genera una Grande Depressione, una situazione in cui «non conosci nessuno che non abbia paura del futuro». Ma di chi è la colpa di questa paura? E di che tipo di paura dobbiamo avere paura?
Il nostro primo ministro non ha dubbi a riguardo: la colpa è dei media, che sbattono le brutte notizie in prima pagina o nei titoli di testa dei telegiornali (comprese le reti Mediaset?). Il giorno prima il ministro dello Sviluppo economico aveva dato del corvo alla presidente degli industriali, rea di avere citato le previsioni del suo ufficio studi, aggiornate sulla base degli ultimi dati forniti dall´Istat sull´andamento della nostra economia. Ecco, dunque il teorema. Il concorso di colpe parte dall´ufficio di statistica, reo di diramare dati così brutti, per arrivare ai centri studi che usano questi dati per fare previsioni e si chiude coi giornali che riportano queste previsioni. Mentre naturalmente il governo fa di tutto per instillare fiducia tra i cittadini. Anche ieri Berlusconi ha, in effetti, ribadito che «la risposta migliore per uscire dalla crisi è la fiducia e l´ottimismo» e ha invitato tutti a fare acquisti, anche quelli cui aveva chiesto di comprare titoli Enel ed Eni quando valevano dal 10 al 15 per cento in più delle quotazioni attuali. Salvo poi aggiungere, poco dopo, che non si escludono nazionalizzazioni delle nostre banche, cosa che ha fatto nuovamente precipitare i titoli dei nostri istituti di credito (Unicredit è sceso sotto la soglia di un euro).
Meglio allora partire dal secondo quesito e poi da lì risalire alle responsabilità. La paura di cui dobbiamo avere paura è quella che fa conoscere ai mercati finanziari fluttuazioni mai viste, tra il +10 e il -10 per cento, nella stessa seduta. È un segno del fatto che si prendono in considerazione gli scenari più estremi, sia in positivo che in negativo, quelli che in tempi normali verrebbero scartati a priori. In queste condizioni ogni informazione, anche negativa, ma che riduce l´incertezza sul futuro, serve a ridurre la paura da cui scaturiscono il crollo degli investimenti e dei consumi. Sapere oggi che il prodotto interno lordo nel 2009 calerà del 2,5 per cento significa anche escludere ipotesi ben peggiori. Ci saranno, a quel punto, degli investitori che, avendo orizzonti lunghi, saranno disposti ora, subito, ad investire. Il peggiore nemico degli investimenti non è il rischio, inevitabile quando si investe, ma l´incertezza, le condizioni in cui non ci si fida più di alcuna previsione e non si riesce a porre un limite al peggio.
Se questo è il tipo di paura di cui dobbiamo avere paura, ne consegue che sono i governi a esserne i primi responsabili. Se vogliono ridurla, devono attivare subito misure forti, in grado di convincere molti, se non tutti, che gli scenari peggiori hanno una probabilità molto bassa di realizzarsi. Devono agire prima ancora di parlare perché le parole in questi frangenti finiscono solo per disorientare, si prestano a mille interpretazioni diverse, soprattutto quando sono fumose (come certi discorsi sull´etica del capitalismo). È purtroppo esattamente l´opposto di quanto il nostro governo ha fatto sin qui. Ha continuato a dichiarare che le nostre banche erano fuori dalla crisi, cosa cui nessuno ha creduto tant´è che i nostri titoli bancari sono arrivati a perdere di più di quelli delle banche all´epicentro della crisi. Mentre a tutt´oggi, sei mesi dopo il crack Lehman Brothers, non sono state ancora attivate le misure che servirebbero a scongiurare una crisi di una nostra banca. Ci ha abituato ad annunci di ingenti pacchetti fiscali (112 miliardi, poi scesi a 80, a 40 e infine ad poi sistematicamente disattesi, dato che l´entità della manovra di bilancio pluriennale annunciata in primavera non è cambiata, il che significa che non si sono messe nuove risorse nell´economia per compensare il calo dei consumi. Tutto questo non avrà magari ridotto la popolarità del nostro governo, ma ne ha sicuramente minato la credibilità presso gli investitori.
Nei prossimi due mesi le banche italiane renderanno pubblici i loro bilanci. Avremo, a quel punto, una misura del grado di esposizione ai titoli tossici dei nostri istituti di credito (lo vedremo, ad esempio, dal modo in cui riclassificheranno i titoli in portafoglio) e dell´entità delle perdite che hanno subito nel 2008. Bene che il governo, sfruttando il vantaggio informativo di cui potrebbe disporre se smettesse di fare la guerra a Banca d´Italia, trovi fin d´ora le contromisure ad ogni cattiva notizia che potrà arrivare su questo fronte, essendo pronto a intervenire ancora prima che la notizia sia pubblica. La fiducia degli italiani si gioca sul poter contare su di un governo che ha gli strumenti in mano per intervenire col tempismo richiesto in queste circostanze. Anche i media potranno offrire il loro contributo, magari dando il giusto risalto alle poche notizie buone che arrivano. Ci piacerebbe, ad esempio, che nei titoli di testa non ci fossero solo i miliardi virtualmente bruciati quando la borsa crolla, ma anche quelli (sempre virtualmente) creati quando la borsa sale. Ma guai se si pensasse che si stanno tenendo nascoste delle notizie per evitare il panico. Non è certo oscurando le brutte notizie che si vince la paura. Bisogna dimostrarsi capaci di reagire a queste notizie, scongiurando il degenerare della crisi.
Tito Boeri
La Repubblica del 20 febbraio 2009