Ignazio Marino, 54 anni, è tornato in Italia da tre anni. Viveva a Pittsburgh, poi a Philadeplhia. Dirigeva il centro trapianti di una delle più antiche università americane, il Jefferson medical college. Trapianti di fegato. «Ho scelto di occuparmi del fegato perché è l’intervento ancora oggi tecnicamente più difficile. Ero attratto, da ragazzo, dall’idea di poter fare qualcosa che non tutti sono in grado di fare». Opera ancora, la domenica e il lunedì, a Verona. E’ nato a Genova, ha una figlia adolescente, ha studiato alla Cattolica. E’ cattolico, cresciuto con gli scout. A chi entra nel suo ufficio – una mansarda a Sant’Ivo alla Sapienza – mostra una lettera indirizzata da Paolo VI ai medici cattolici nel 1970. «Legga, io non avrei saputo dire parole così». Scriveva il Papa: nella fase terminale di una malattia incurabile dovere del medico è «alleviare la sofferenza e non prolungare con qualunque mezzo una vita che non è più pienamente umana». Non pienamente umana.
Parliamo della legge sul testamento biologico proprio oggi che in commissione il gruppo del Pd si è diviso: 6 senatori tra cui Marino hanno votato contro la proposta Calabrò, il ddl del governo, 3 si sono astenuti. Tra questi Dorina Bianchi, teo-dem che da pochi giorni ha preso il suo posto alla guida del gruppo Pd in commissione Sanità. Tra ex Ds ed ex Margherita si è consumato ieri uno scontro aspro che a molti è parso il prologo di quel che potrebbe accadere da domani nel Partito democratico. Anche di questo, delle sorti del partito, parliamo con Marino: pensa che si debba arrivare al più presto a «delle primarie vere, non di corrente». Di sé dice: «Non sono la persona più adatta, ma i candidati non si autocandidano. Quando c’è un’indicazione collettiva sono chiamati al confronto. Non è affatto una mia aspirazione ma se fosse utile ad un cammino comune, certo».
Senatore, lei ha detto che se passasse questa legge bisognerebbe sottoporla a referendum. Marini ha commentato che le sue sono ‘fantasie da scienziato’. Gasparri, dopo il voto di ieri, che ‘la linea Marino è stata sconfitta’. Si sente sconfitto?
«Siamo in un pasticcio, si dovrebbe ripartire dall’esame della realtà. Non c’è bisogno di essere scienziati per contare fino a dieci: se su 9 persone 6 esprimono un parere questa è la maggioranza. Ho osservato ieri che si dovrebbe tener conto dell’opinione della maggioranza, rappresentarla. Non vorrei che si arrivasse alla decisione di non decidere, tutto qui. Quel disegno di legge è incostituzionale e antiscientifico. Il centrodestra ha mostrato finora assoluta indisponibilità alle modifiche. Se passasse così com’è avremmo migliaia di ricorsi alla Corte costituzionale».
Perché?
«All’articolo 2 dice che l’attività medica non può in nessun caso consentire la morte del paziente. Welby non potrebbe più decidere di sé, domani: nessuno potrebbe staccare il respiratore a chi lo voglia. L’articolo 5 parla di idratazione e alimentazione come forme finalizzate ad alleviare le sofferenze e le esclude dal testamento biologico: anche a voler banalizzare e parlare, come si fa, di pane e acqua ciascun medico sa che non è questo ad alleviare le sofferenze del paziente. Inoltre mi domando, per paradosso: e l’aria? Perché non è contemplata la respirazione forzata che, come in assenza di capacità di deglutire, è determinata da una lesione neurologica e muscolare? All’articolo 6 il testamento biologico è di fatto reso inapplicabile. Si dice che bisogna andare ogni tre anni a depositarlo dal notaio, che i notai devono accoglierlo a titolo gratuito (non sono stati sentiti! Lo farebbero?) che bisogna andarci col medico di base e col fiduciario. Immagini questo corteo di persone che ogni tre anni va dal notaio. Un medico di base, che ha in media 1500 assistiti, dovrebbe andarci 500 volte all’anno, escludendo i festivi anche 3 volte al giorno. Una ragazza di 18 anni che voglia fare oggi la dichiarazione dovrebbe tornarci col corteo circa 24 volte nella vita. Tutto questo senza che le disposizioni siano vincolanti. E allora per cosa tanta fatica? Bisognerebbe piuttosto ripartire dalla Costituzione».
Cosa intende?
«La salute è un diritto di tutti gli individui, c’è scritto. Individui, non cittadini. Pensi al dibattito di questi giorni sulle cure mediche agli immigrati. Nessuno può essere sottoposto a trattamento sanitario contro la sua volontà. Allora dov’è il problema se si fa una legge che lasci a ciascuno la scelta?»
Lei, da cattolico, non sente il bisogno di fare proselitismo per le ragioni della vita?
«I principi morali non si impongono per legge. La catechizzazione, eventualmente, si fa con l’esempio».
Non hai mai avuto difficoltà a interrompere un trattamento?
«L’ho avuta, sì, a lasciar andare un paziente. In questi casi la soluzione si trova dentro l’ospedale. Non ho mai tolto un respiratore, come spesso i parenti chiedono negli ultimi momenti per avere intimità col malato. Togliere il respiratore mi riesce difficilissimo. Ho chiesto di farlo ai miei collaboratori, se quella era la volontà espressa. Ho avuto una donna di 27 anni con un figlio di 5 colpita da un’epatite fulminante, dopo il trapianto il decorso ha avuto un esito pessimo ed eravamo oltre i protocolli: non c’era da insistere. Nonostante il parere dei colleghi ho deciso di trapiantarla di nuovo. Era il 2002, mi chiama ancora ogni tanto. Ho avuto un veterano del Vietnam colpito da epatite b, aveva un testamento biologico precisissimo: dopo due settimane di terapia intensiva il trattamento doveva essere sospeso. Suo fratello ha fatto cinque ore di volo per assicurarsi che fosse rispettato. Pensavo che ci fossero ancora possibilità, ho convocato il comitato etico dell’ospedale che ha deciso di rispettare la libera scelta del malato. Il vero umanesimo è rispettare la volontà degli uomini anche quando è difficile. Il ricorso alla tecnica finisce per essere idolatria, è una rinuncia alla carità cristiana che è ascolto. Sono credente ma il compito del legislatore è laico».
Lei si è dimesso ad ottobre da capogruppo per presiedere la commissione d’inchiesta sull’efficienza del Servizio sanitario «Vorrei studiare gli indicatori sulla qualità e l’efficienza delle nostre Asl. Per esempio. Quante fratture di femore vengono operate entro 48 ore dal ricovero? Quanti giorni prima di un intervento programmato avviene il ricovero? Se avviene 5 giorni prima si stanno usando male i soldi. Si trovano le migliori Asl e le peggiori, si interviene non in base a un criterio clientelare o politico ma in base a dei parametri di qualità».
Bisognerebbe poterlo fare anche in politica con le candidature.
«Certo. Bisognerebbe entrare in una fase in cui si candida chi lo voglia, e su questo non ci sarà carenza. Tra chi lo voglia si dovrebbe scegliere chi sia più adatto a quel ruolo. Non equilibri alchemici tra correnti: il profilo. Bisognerebbe sottoporre le persone al giudizio degli elettori».
E’ soddisfatto di aver lasciato l’America per fare politica?
«Un giorno, due anni fa, ho parlato in aula a favore di un emendamento alla finanziaria che assegnava 180 milioni di euro all’anno per indennizzare i pazienti danneggiati negli ospedali col sangue infetto. Ho raccontato di quelli che avevo visto, entrati con una frattura e usciti con l’Aids. I loro occhi. Tutta l’aula ha votato. Ci sono altri modi di fare qualcosa per la salute oltre lo sala operatoria».
La chiesa non è sulle sue posizioni.
«La chiesa sono le suore di Haiti che curano i lebbrosi, non è il clero. La chiesa universale ha una straordinaria capacità di esserci. Sono stato scout negli anni ’70, si discuteva di campi estivi comuni: la coeducazione di maschi e femmine. Si immagina? Paolo VI non si oppose a quel processo. Controllo, certo, ma non ostacolo».
Si candiderebbe alle primarie del Pd?
(ride) «Non sono adatto. Franceschini si assume il compito e la responsabilità. Dovrà dare un segnale forte di discontinuità nella scelta delle persone. Poi si procederà secondo le regole. Bisogna poi arrivare alle primarie, certo. Magari per aree geografiche, con una competizione nel paese».
E a quel punto lo farebbe?
«Non credo di avere il profilo giusto. Però i candidati li indicano gli elettori. Se mi toccasse fare una parte di cammino non mi tirerei indietro».
Beppino Englaro aderisce alla manifestazione di domani contro la «legge barbara». Lei sarà in piazza?
«Difficile, c’è l’Assemblea nazionale».
l’Unità del 20 febbraio 2009