partito democratico

Presentazione di una mozione al decreto anticrisi- Intervento dell’On. Baretta

Signor Presidente,

è una buona cosa che il susseguirsi irregolare del calendario dei lavori parlamentari ci consenta di ritornare a parlare delle difficoltà economiche e sociali del nostro Paese anche dopo che la discussione sul decreto anti crisi si è conclusa in entrambi i rami del Parlamento.
Il rischio che corriamo, infatti, è che, a causa del succedersi pressante dell’ordine del giorno della Camera, procediamo spediti, di provvedimento in provvedimento, finendo per accantonare, via via, argomenti che mantengono, invece, una priorità straordinaria.
La crisi economica che stiamo attraversando è, certamente, in questa fase storica, la priorità del Paese. Essa colpisce ogni giorno di più le famiglie. i lavoratori e le imprese che sono costretti a misurarsi con una emergenza che non ha precedenti recenti.
Temiamo, purtroppo, che questa…priorità ci accompagnerà almeno per tutto il 2009 e, da non escludere, per buona parte del 2010.
Per fronteggiarla servono coraggio, determinazione e fiducia nelle persone e nel futuro.

Non torno, in questa occasione, sull’analisi della crisi se non per dire che si avverte la necessità che su questa analisi resti viva la discussione politica e sociale.
Infatti, sono già troppi i segnali tesi a rimuovere le cause che ci hanno portato alle difficoltà attuali e sono troppe le tentazioni, non tanto a guardare oltre, il che è giusto, ma a farlo senza correggere i clamorosi errori che hanno portato l’economia globale ad accartocciarsi su stessa, lasciando dietro di sé la scia di problemi che ormai avvertiamo nella quotidianità delle nostre vite.
Ed il punto essenziale che non va dimenticato è che gli effetti finanziari della crisi sono già un esito di una errata distribuzione del reddito che ha indotto, per anni, milioni di famiglie e di persone, a partire dagli Stati Uniti d’America, ma ben presto anche nel resto del mondo, ad indebitarsi per mantenere gli stili di vita, i consumi ed il bene primario dell’abitazione.
Si è, cioè, in tutto l’occidente sviluppato, finanziato il debito. Abbiamo vissuto, diciamolo con sincerità, in una disuguaglianza crescente, ma, in ogni caso, al di sopra delle possibilità che il nostro grado di sviluppo consentiva.
La responsabilità della finanza si inserisce in questo disequilibrio, in quanto, anziché mitigare questi fenomeni li ha esaltati. La crisi dei mutui sub prime ha rappresentato l’innesco di una miscela esplosiva accumulata per anni.

Tutto ciò pesa sul nostro destino. Abbiamo visto, infatti, come la impetuosità di questa crisi ha travolto i consolidati sistemi di regolazione dei mercati finanziari e produttivi, con quale rapidità ritorna a mordere la disoccupazione e si diffonde l’indigenza. A tutto ciò bisogna reagire!
La crisi rimette in discussione i parametri, ma anche i luoghi comuni della costruzione e della gestione della economia e della società.
Sicché, la urgente e necessaria risposta alla emergenza non deve essere fine a se stessa, ma inquadrata in una visione strategica che ci assicuri un’ottica di prospettiva.
E’ bene non dimenticarlo, perché dalla crisi non possiamo uscirne bene se non apportiamo correttivi strutturali a questo stato di cose.
In tal senso molti, e noi tra questi, parliamo della crisi anche come una opportunità. Dobbiamo saper cogliere la complessità di questa situazione per costruire un futuro migliore. Le regole del gioco vanno riscritte.
Fortunatamente, cresce la coscienza che la economica non è un ambito neutro, a sé stante e cresce la percezione che le risposte coinvolgono l’insieme del modello economico e sociale.
Basti pensare all’intreccio sempre più stringente tra crisi economica e vincoli ambientali. E’ proprio il dibattito sugli aiuti al settore automobilistico, che coinvolge la discussione dei governi di tutti i grandi Stati che sta rendendo concreto agli occhi di milioni di consumatori il fatto che esiste un rapporto diretto tra sviluppo economico e sostenibilità ambientale e che trovare il bandolo di questa trascurata ed imbrigliata matassa è decisivo per decidere la qualità della uscita dalla crisi, con provvedimenti che sono, al tempo stesso, non anti, ma pro impresa. Mi auguro che questa strada sia seguita nelle prossime ore anche dal nostro Paese.
Basti pensare ai disequilibri territoriali tra aree sviluppate ed aree depresse. La distorsione operata dal Governo, in questi mesi, dei fondi Fass è una occasione sprecata che allontana la possibilità di rispondere alla esigenza inderogabile di unificare il nostro Paese, condizione decisiva per vincere la sfida competitiva che dopo la crisi ripartirà e non ammetterà convogli in ritardo. E’ esattamente quello che sta facendo il governo tedesco che sta, dichiaratamente, gestendo le difficoltà per rafforzare l’intero apparato industriale per portarlo ad essere, dopo la crisi, uno tra i più robusti del pianeta.
Penso, a questo proposito, alla nostra piccola e media impresa, ai distretti industriali del Nord e del Centro Italia, strutture portanti del nostro apparato industriale soggiogati dalle strettoie di un credito esoso.
Penso alla riconversione della edilizia esistente privata e pubblica. E, per fortuna che abbiamo recuperato su nostra iniziativa, la norma incentivo del 55% che il Governo aveva abolito.
Penso, da ultimo, ma non ultimi, ai lavoratori, siano essi dipendenti o precari, autonomi o imprenditori, esposti alle intemperie, soprattutto quelli privi di strumenti di protezione sociale.
Esiste, insomma, la esigenza di una strategia di respiro in grado di guardare oltre la crisi. Questa strategia il nostro Governo non ce l’ha.

Dedichiamo tutte le nostre migliori energie a definire questa strategia; non rinchiudiamoci nelle posizioni di parte.
Ciò che con questa mozione chiediamo al Governo è di assumere la gravità della crisi in tutta la sua portata e di reagire, di non sfuggire alla sfida che abbiamo di fronte. La crisi non è una condanna diabolica, il mostro dei videogiochi al quale soccombere. Sottovalutarlo o esaltarlo ha lo stesso effetto: una colpevole impotenza.
Ci ha sorpreso, davvero e molto, ascoltare le dichiarazioni che solo l’altro ieri il ministro Tremonti ha rilasciato nelle quali riduce la crisi ad un fatto di ordinaria amministrazione, di scarso peso e significato.
Sappiamo bene che il nostro Paese, anche per i suoi ritardi, può avere un impatto meno traumatico di altri. Ma sappiamo anche quali sono i dati che ogni giorno ci vengono scodellati e che l’on. Veltroni ha illustrato in quest’aula in occasione della dichiarazione di voto sul decreto anti crisi, sulla caduta di produzione industriale, sulla crescita della cassa integrazione e della disoccupazione, sulla crisi dei consumi.
E’ a questa realtà che bisogna rispondere adesso, non domani, non tra un anno.
La crisi del 1921, l’unico parametro che abbiamo, è durata cinque anni. E’ da presumere che la rapidità dei fenomeni contemporanei renda tutto più accelerato. Da qui la valutazione che questa crisi può durare due anni, ma da qui anche la urgenza di intervenire subito. Non c’è tempo per due tempi.
Ecco perché uniamo, nella nostra valutazione, la prospettiva strutturale, alla quale ho, sia pur brevemente accennato, alla emergenza che ci attanaglia e rispetto alla quale i provvedimenti finora approntati ci sembrano inadeguati ed insufficienti.
La nostra mozione ha questo scopo, signor Presidente, quello di invitare il Governo ad andare oltre le divisioni politiche, a non sottovalutare la posta in gioco e ad adottare nuovi ed efficaci provvedimenti in grado di costruire un ponte che consenta al Paese, i consumatori, ai lavoratori e alle imprese di attraversare questo tratto burrascoso di mare ed arrivare rinnovati alla sponda della ripresa.
Sulla stessa impostazione si muovono le mozioni Borghesi ed altri e Vietti ed altri sulle quali annuncio, pertanto, il nostro voto favorevole; mentre deludente ci è apparsa la mozione di maggioranza che non coglie questa necessità di operare un salto di qualità.

Per fare questo salto, il nostro Paese deve seguire la traccia che la Unione Europea ha prospettato nell’intervento anti crisi raccomandato agli Stati membri. Cito la UE non perché quanto stanno facendo l’America e la Cina non costituisca un riferimento, ma per evitare di controbattere alla obiezione sulla sproporzione delle diverse dimensioni tra noi e quei Paesi. Ma, con la Francia, la Spagna, la Germania e l’Inghilterra dobbiamo pur confrontarci. Essi sono i nostri patners ed i nostri competitors. Con loro costruiamo il futuro della Comunità nella quale i nostri figli vivranno la loro vita.
Ebbene, la Commissione Europea ha raccomandato si mettere in circolo almeno un punto e mezzo di Pil e di adottare criteri specifici di tipo sociale, industriale e fiscale.
Riprendiamo quel piano, vediamone le possibilità di applicazione in Italia, ma non arrendiamoci alle difficoltà interne, che pure ben conosciamo.
Queste difficoltà attengono alla dimensione del debito pubblico. Non ci stanchiamo di ripetere che la strada del risanamento del debito è un obiettivo che non solo condividiamo, ma che è stato il perno della politica economica del Governo Prodi; tant’è che questo è l’unico aspetto che il Governo Berlusconi ha confermato.
Ma non ci stanchiamo di ripetere che le modalità di questo rientro consentono una gestione flessibile del percorso. Anzi, solo una gestione dinamica può far sperare di mantenere l’obiettivo. Una gestione rigida che prevede solo tagli e tagli e non è in grado di allargare e restringere i cordoni della borsa sulla base delle necessità, non raggiungerà l’obiettivo e alla fine il danno sarà ancora maggiore.
Mario Monti ha dichiarato recentemente che sarebbe sciocco non essere rigoroso, ma che sarebbe ancora più sciocco non immettere liquidità in un sistema bloccato.
La risposta che ci viene data dal governo è semplice ed apparentemente disarmante: non ci sono soldi.
E’ una risposta sbagliata, sia sul piano contabile, sia su quello politico. Sul piano contabile non possiamo dimenticare lo spreco dell’abolizione dell’Ici, ma, si dirà, acqua passata non macina; ebbene non sono, però, passati i 5 miliardi di euro che possiamo calcolare per il 2009 tra i risparmi degli interessi derivanti dalla stessa riduzione del deficit, cifra che andrà stimata anche per il 2010.
Sul piano politico replichiamo che se si concerta un obiettivo, parte delle risorse che sono derivate dai tagli effettuati possono essere ad esso indirizzate.
Inoltre, come ha dimostrato la discussione sul patto di stabilità degli Enti locali, svolta qui alla camera nei giorni scorsi e qualche strascico lo ha lasciato, se si decide di allentare i criteri almeno per i comuni virtuosi si può determinare un processo positivo sia sugli investimenti, che sui pagamenti degli arretrati verso le imprese creditrici.
Le possibilità, dunque, di affrontare la crisi con un piano più robusto di quello prospettato finora dal governo c’è. E’ una questione di scelta politica.

In quest’ottica, è nostra opinione che il provvedimento anti crisi 185, sia insufficiente. Ecco perché insistiamo a proporre gli indirizzi minimi necessari
Nel dibattito parlamentare il Partito Democratico non si è limitato a denunciare la inadeguatezza della linea del governo, ma ha formulato controproposte.
Sono tre i capitoli sui quali si sviluppa la nostra proposta e che, in questa occasione, riproponiamo all’attenzione del Parlamento e del Governo.
Il primo riguarda il sostegno al reddito. La nostra proposta consiste nell’affiancare, da subito, al bonus (che pur andava rimodulato a favore dei pensionati e delle famiglie ed ampliato ai lavoratori autonomi tra i quali, lo sappiamo bene, si annoverano tanti giovani precari), affiancare al bonus, dicevo, un incremento del 20% degli assegni famigliari, per arrivare ad avviare, nella prossima finanziaria, la dote fiscale per i figli.
Il secondo riguarda gli ammortizzatori sociali attraverso la istituzione di un fondo unico che consenta di estendere a tutti, ripeto, a tutti la cassa integrazione e l’indennità di mobilità e di disoccupazione, migliorando, innanzi tutto, quelle destinate ai precari.
Il terzo riguarda l’impresa. E’ urgente migliorare la norma relativa al pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione; irrobustire di più i confidi, estendere alla ricerca ed, in particolare, al Sud, il credito di imposta; migliorare il massimo scoperto.
L’insieme di questi provvedimenti, assolutamente necessari e minimali, comportano, voglio ricordarlo, una spesa di circa 2 miliardi e mezzo, che possono essere recuperati attraverso un calcolo scrupoloso del previsto miglioramento degli interessi sul debito a cui ho già fatto riferimento e che possono, in parte, essere ben utilizzati per aiutare le persone, le famiglie, le imprese in difficoltà.

Non ci sfugge, signor Presidente, la complessità e la difficoltà di questa fase, ma vediamo, finalmente, la politica tornare in gioco, diventare nuovamente protagonista dei destini collettivi.
A noi guardano con trepidazione ed attesa milioni di persone, famiglie, imprese. A loro dobbiamo dare le risposte giuste ed urgenti.
Nessuno possa dire, di fronte alle proprie fatiche quotidiane, alle sofferenze patite ed alle speranze inevase, nessuno possa dire di essere stato abbandonato, da solo, al suo destino dai propri rappresentanti, dalle proprie Istituzioni.
Sono le ragioni della responsabilità, Signor Presidente e non le ragioni di parte a chiedere al Governo ed al Parlamento di non rinunciare ad essere, nella crisi, un punto di riferimento per tutti i nostri concittadini.

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