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“Lampedusa, girone dei disperati. Le storie dei sopravvissuti al mare”, di Francesco Viviano

“Respira, respira ancora, quindi è viva” dice, Odemije, 22 anni, nigeriano, subito dopo essere uscito dal pronto soccorso di Lampedusa dov’era stato portato per l'”ultimo saluto” alla sua compagna, Vivede, 19 anni, appena intubata e subito dopo trasferita con l’elicottero del 118 a Palermo, dove i medici disperano di salvarla. È in coma, ricoverata in rianimazione, ha ustioni su tutto il corpo ed una sindrome di assideramento gravissima. Sono davvero poche le speranze che possa cavarsela, dopo una settimana in mare aperto senza acqua e senza viveri, per raggiungere Lampedusa. L'”inferno” di Lampedusa dove Odemije è arrivato con la sua compagna ieri mattina con un gommone. Insieme con altri 61 disperati, con i loro racconti dell’orrore: 10 dei loro compagni di viaggio, spiegano, sono morti di stenti e di freddo durante la traversata e buttati in mare dai sopravvissuti. Ma tutti loro, come altre centinaia dei 1900 clandestini che attualmente si trovano nel centro di accoglienza, dormiranno all’aperto.

In ripari di fortuna, tende improvvisate con teli leggeri, perché il centro è al collasso. Sporcizia, escrementi, gabinetti e fognature intasate, camere di tre metri per tre che ospitano fino a 15 persone, oltre 100 minori stipati per terra su finti materassi, senza coperte e senza teli, con bottiglie di plastica ed altri rifiuti sparsi ovunque. Anche gli uffici dei dirigenti del Centro di accoglienza non ci sono più. Ospitano decine e decine di immigrati, appollaiati uno sull’altro.
“Voglio andare via, ritornare in Tunisia, non ne posso più. Sono qui da 30 giorni. Speravo di trovare la libertà ed un po’ di serenità, ma qui è peggio che all’inferno”. L’esterno del centro di accoglienza che sorge su una vecchia base dell’Aeronautica Militare è circondato da bersaglieri, dentro una cinquantina di carabinieri e poliziotti che a turno sorvegliano quella piccola città della speranza che da settimane si è trasformata in una bolgia. I responsabili del centro alzano le spalle, fanno tutto il possibile. “Ma miracoli non ne possiamo fare – dicono – i posti letto sono 800, loro sono quasi duemila. Come possiamo fare a sistemarli in maniera un po’ più decente? Riusciamo a farli mangiare tutti, a vestirli tutti, ma non possiamo trovare un letto ed un riparo per tutti”. Al ministero dell’Interno, alle prefetture, sono state inviate relazioni che segnalano la grave situazione. Hanno paura che possano scoppiare delle rivolte, delle risse per conquistare un letto o un riparo.

Quanto durerà ancora, si chiedono gli operatori e i militari che lavorano nel centro di accoglienza. Temono, e non ne fanno un mistero, che “prima o poi ci scapperà il morto”. E mentre dentro il centro la tensione aumenta, fuori, tra i cittadini di Lampedusa, la protesta contro il ministro degli interni Maroni che ha deciso di non trasferire i clandestini in altri centri, monta ogni ora di più. Accusano di “tradimento” anche la loro ex pasionaria, Angela Maraventano che ha conquistato una poltrona da senatrice proprio con la Lega. Il sindaco Rino De Rubeis le ha revocato l’incarico di vice sindaco, molti suoi concittadini la chiamano già “giuda” perché asseconda le scelte del ministro Maroni. E i lampedusani minacciano azioni eclatanti, dopo la conferma di quello che un paio di giorni fa l’ex sindaco dell’isola, Totò Martello, aveva denunciato pubblicamente: la realizzazione di un altro centro di accoglienza nella base Loran della Marina Militare di Lampedusa. Una decisione che ieri sera ha provocato altre tensioni e minacce di bloccare il porto e l’aeroporto: oltre duecento abitanti dell’isola hanno inscenato una manifestazione davanti all’ingresso del Cpt, guardati a vista dai militari della sorveglianza.

La Repubblica, 22 gennaio 2009

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