“Adesso una tregua vera, soccorsi alle popolazioni e la ripresa subito del negoziato di pace. E l’Italia faccia la sua parte”.
Piero Fassino, ministro degli Esteri governo ombra del Pd
E’ tregua nei territori. Sette giorni per far tacere le armi e riprendere fiato. Ieri, per la seconda notte non si è sparato da entrambe le parti e Israele ha iniziato un ritiro graduale verso i confini, che secondo il premier israeliano Olmert deve avvenire il “prima possibile”. Un tregua fragile, come un vaso di coccio tra vasi di ferro, che per il momento viene però rispettata. Non sono bastati infatti i razzi lanciati ieri dalla Striscia ne la risposta dell’esercito di Israele a far saltare il cessate il fuoco che ormai serve ad entrambe le parti, dopo 22 giorni di guerra. Olmert però considera lo stop al lancio di razzi la condizione minima per il rispetto della tregua. Hamas vuole invece il ritiro completo dalla Striscia entro una settimana. Colonne di Tank sono state viste dirigersi verso i confini, tanto che Hamas ha già annunciato la sua vittoria, anche se più di mille morti civili sono comunque un prezzo troppo alto.
Sulle notizie del ritiro delle truppe israeliane è intervenuto Piero Fassino, ministro degli Esteri del governo ombra del Pd: “Dopo le decisioni israeliane di unilaterale cessate il fuoco e l’annuncio odierno di sospensione delle attivita’ militari di Hamas serve adesso una tregua vera, duratura e sicura. La comunità internazionale metta in campo tutte le misure e le risorse necessarie per garantire il rispetto della tregua e vari subito un vasto programma di aiuti umanitari per le popolazioni civili. Contemporaneamente occorre non dilazionare a un tempo indefinito la ripresa di un percorso negoziale di pace. E’ responsabilità dei tanti capi di governo, riunitisi oggi, usare tutta la loro influenza politica per promuovere subito la ripresa del processo di pace. Chiediamo al governo italiano di assumere, insieme a partner europei, tutte le responsabilità necessarie a contribuire concretamente alla tregua, all’azione umanitaria e al processo di pace”.
Il ritiro di Israele avviene a poche ore dal vertice di Sharm el Sheikh. La diplomazia internazionale ha saputo, come non avveniva dai tempi del Libano, fare pressione sul governo di Gerusalemme. Se la risoluzione 1860 della Nazioni Unite appariva debole, l’iniziativa diplomatica franco – egiziana e il summit tenutosi ieri in Egitto con Ban Ki Moon e i principali leader europei hanno portato all’incontro in serata di Gerusalemme tra il premier israeliano Olmert e la delegazione europa. Ma se Israele non ha mai avuto intenzione di “riconquistare la Striscia di Gaza”, ha detto ieri Olmert davanti ai leader europei, bensì garantire la sicurezza dello Stato di Israele, ad Hamas ancora non mancano ancora i razzi né gli uomini pronti a lanciarli, e la vittoria sull’organizzazione palestinese pare un’impresa troppo grande, anche per l’esercito di Tel Aviv.
Il governo centrista di Olmert respira ed esce rafforzato rispetto al periodo precedente il conflitto, in previsione delle elezioni anticipate di febbraio, dopo i contrasti che ci sono stati tra il premier, il minsitro degli Esteri Livni e il ministro della difesa Barak. In attesa che a Washington si compia il passaggio di consegne, l’opinione pubblica israeliana si è sentita con le spalle al muro in questi 22 giorni di guerra e “abbandonata” dalla comunità internazionale. Gli israeliani si sono per questo compattati difendendo le operazioni a Gaza, come l’unico modo per impedire il lancio di razzi. Colpisce però la tempistica di un conflitto che pare aver raggiunto una tregua stabile proprio il giorno prima dell’investitura di Obama a prossimo Presidente americano, che ha accolto benevolmente la tregua.
Nel conflitto sembra aver ritrovato il suo ruolo anche la diplomazia europea. Se Sarkozy ha avuto un ruolo importante, l’Europa ha però saputo, seppur faticosamente, costruire un fronte unico, proprio quando era fondamentale farlo, cioè con gli Stati Uniti in piena transizione. Una buona notizia per il nuovo Presidente americano, che potrà contare sull’Europa nei momenti di crisi, e concentrarsi meglio su ciò che non va dentro i confini. E senza Mubarak, capace di organizzare il consenso dei paesi arabi moderati e fare pressioni su Hamas, forse la tregua non si sarebbe raggiunta. Una fonte diplomatica egiziana ha fatto sapere che giovedì prossimo il Cairo ospiterà un incontro tra rappresentanti israeliani e palestinesi allo scopo di “prendere le disposizioni necessarie al fine di consolidare il cessate il fuoco e stabilire misure per porre fine al blocco di Gaza”.
Sono serviti più di mille morti ,la distruzione delle infrastrutture palestines ie la Striscia di Gaza sull’orlo del collasso per arrivare ad una tregua stabile. In realtà resta ancora molto da fare per arrivare ad una pace duratura. Il cessate il fuoco appare come la condizione necessaria a qualsiasi dialogo, ma la costruzione dello Stato palestinese ha bisogno di più tempo e soprattutto di interlocutori capaci di spingere in questa direzione. Indeboliti dal conflitto escono Abu Mazen, al Fatah e l’Autorità nazionale palestinese. Se Israele voleva garantire la sicurezza, la delegittimazione di al Fatah sembra impedire una soluzione di lungo periodo e da questo punto di vista Olmert e Hamas non sembrano assicurare le adeguate condizioni. Servirà invece tenere gli occhi ben aperti e costruire il consenso internazionale intorno alla soluzione dei “due popoli, due stati”, dando voce alla diplomazia e costringendo le parti alle loro responsabilità, per evitare una ripresa dell’opzione militare, che di volta in volta allontana il processo di riconciliazione sempre di più. Aspettando che il treno di Obama arrivi finalmente a Washington.
PartitoDemocratico.it, 19 gennaio 2009
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