Datemi da una parte milioni di voti, toglietemi dall’altra parte un atomo di verità, ed io sarò comunque perdente. Lo scriveva Aldo Moro, al culmine della sua tragedia umana. Ora, nel turbine della tempesta economica, non pretendiamo che Giulio Tremonti dimostri la stessa “cifra” politica del grande statista democristiano.
Ma per quanto possa sembrare “il ministro del Tesoro più colto d’Europa” (come gli ha riconosciuto Tony Blair una settimana fa) non può più nascondere la verità dietro la cortina fumogena della sua erudizione filosofica e dei suoi virtuosismi lessicali. L’ultimo Bollettino della Banca d’Italia descrive un quadro da “economia di guerra”. La crisi globale “si è intensificata ed estesa”. Nel 2008 il Prodotto lordo decresce dello 0,5%.
La produzione industriale, crollata del 6% nell’ultimo trimestre, scende del 4% in media d’anno: “uno dei peggiori risultati del secondo dopoguerra”, con un calo “simile alla crisi del 1974/1975”. Arretrano le esportazioni (meno 1,6% nel terzo trimestre). Flettono gli investimenti delle imprese (meno 2%). Cedono i consumi delle famiglie (meno 0,7%). Al netto dell’inflazione, “il reddito disponibile reale si è ridotto”. Peggiora la competitività del sistema (il costo del lavoro per unità di prodotto aumenta del 5,4%). Su queste basi, le previsioni per il 2009 sono “fortemente peggiorate”: la recessione si accentuerà, e la crescita subirà una caduta del 2%.
È uno scenario di emergenza assoluta. Lo percepiscono e lo amplificano le super-manovre avviate dall’America di Barack Obama alla Germania di Angela Merkel. L’ulteriore riduzione dei tassi decisa dalla Bce, che ha portato il costo del denaro al minimo storico. L’appello lanciato per conto della Fiat da Sergio Marchionne, che chiede all’Europa misure coordinate di sostegno all’auto. Il monito riproposto dalla Confindustria, che chiede un rafforzamento delle “insufficienti misure” messe in campo finora dal governo italiano. Nonostante tutto questo, Tremonti continua a troncare, a sopire. Considera le stime dell’Ufficio studi di Via Nazionale semplici “esercizi congetturali”. E di fronte al collasso del Pil taglia corto: “Non mi sembra sia il Medioevo”. Eppure, nel suo bestseller La paura e la speranza, scrive testualmente il contrario: “È finita l’età dell’oro, sta arrivando un tempo di ferro”. Qual è la verità, signor ministro?
Ci sono tre questioni cruciali, che il governo Berlusconi e il suo famoso “mago dei numeri” non possono più eludere. La prima questione riguarda proprio la verità. Cioè il “che dire” agli italiani. È vero che questa crisi è la più complessa dell’ultimo mezzo secolo. È vero che cambia forma e sostanza di giorno in giorno. È vero che costringe i governi a ripetuti aggiornamenti statistici e continui interventi normativi. Accadde già nel ’29, come ricorda John Galbraith nel suo formidabile Il grande crollo. Ma in tanta incertezza fisiologica, c’è una costante patologica: secondo tutti i maggiori osservatori internazionali l’Italia è tra le nazioni più in difficoltà. Insieme a Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, compone in Eurolandia la mesta formazione dei “Pigs”, i Paesi più a rischio dal punto di vista del debito, del deficit, della crescita, e quindi dell’affidabilità finanziaria e della stabilità monetaria. Per questo Tremonti ha il dovere di dire fino in fondo tutta la verità sulle reali condizioni della nostra economia. È una responsabilità politica, di fronte al Parlamento che già subisce un regressivo svuotamento delle sue funzioni costituzionali. Ma a questo punto è anche una responsabilità morale, di fronte alle famiglie che subiscono un progressivo peggioramento delle loro condizioni di vita.
La seconda questione riguarda il “che fare”. I drammatici report della Banca d’Italia, della Bce, dell’Ocse, del Fondo monetario, della Ue, non sono numeri al lotto sui quali si possa ironizzare, ma stime ufficiali dei più autorevoli organismi nazionali e sovranazionali del pianeta. Tremonti ha il dovere di tenerne conto, visto che l’assioma “riduzionista” (se non peggio, addirittura “negazionista”) si sta dimostrando palesemente incompatibile con il principio di realtà. E ha il dovere di rimettere mano al pacchetto anti-crisi varato nei mesi scorsi, che di ora in ora si conferma chiaramente inadeguato a fronteggiare l’emergenza e a realizzare l’obiettivo indicato dal presidente della Repubblica Napolitano nel suo messaggio di fine d’anno: trasformare questa crisi in un’opportunità, per costruire un’Italia più forte, più efficiente e più giusta. È vero che scontiamo i vincoli di Maastricht e i paletti del Patto di stabilità: ma nell’enormità delle poste di bilancio ci sono ampi margini per reperire nuove risorse da indirizzare al sostegno della domanda e del reddito.
La terza questione riguarda la leale collaborazione tra le istituzioni, che la gravità di questa crisi rende non solo ovviamente consigliabile, ma assolutamente indispensabile. Da troppi mesi il ministro del Tesoro ha ingaggiato un conflitto suicida con il governatore della Banca d’Italia. L’ultima volta, a Parigi, precipitato addirittura in uno svillaneggiamento pubblico, del tutto gratuito e ingiustificato. Di fronte all’inquietante fotografia dell’Italia tracciata dal Bollettino di Via Nazionale, sarebbe intollerabile se Tremonti scegliesse ancora una volta la via della delegittimazione, invece che quella della condivisione. I politici che si ostinano a dissimulare la verità, e a disconoscere la realtà, sono spesso portati a evocare fantasmi, a vedere nemici attuali o a temere “concorrenti” potenziali. Sarebbe utile “usare” in tutt’altra chiave il prestigio e la competenza di Mario Draghi. Per il bene dell’Italia e degli italiani.
La Repubblica, 16 gennaio 2009